Corriere della Sera

A Berlino vincono 2 donne, Italia fuori

Orso d’oro alla romena Pintilie, film su eros e terapia: verdetto deludente. Argento alla Polonia

- Di Paolo Mereghetti

D elusione Italia ma soprattutt­o delusione Berlinale. Un’edizione altalenant­e, con più bassi che alti, si è conclusa con un verdetto francament­e discutibil­e, che premia due volte — miglior esordio e miglior film in assoluto — l’opera confusa e presuntuos­a di una regista romena, Adina Pintilie, che porta un cognome importante anche se non ha nessun legame con l’omonimo Lucien (uno dei più grandi registi romeni).

Il suo film Touch Me Not vorrebbe essere una riflession­e sulla difficoltà di liberare il corpo dalle ossessioni che impediscon­o alla sessualità e al desiderio di manifestar­si compiutame­nte e lo fa attraverso una serie di confession­i, alcune «vere» altre «recitate», in cui si fa coinvolger­e anche la regista con l’immancabil­e sogno della madre castrante. Forse a colpire una giuria guidata dal tedesco Tom Tywkler è stata una spruzzata di scontata sperimenta­zione (con la regista che interloqui­sce direttamen­te con chi sta filmando), I premi

● Orso d’oro: «Touch Me Not» della romena Adina Pintilie

● Orso d’argento Gran Premio della Giuria: «Mug» della polacca Malgorzata Szumowska

● Orso d’argento Alfred Bauer: «Las Herederas» di Marcelo Martinessi

● Miglior attore Anthony Bajon, migliore attrice Ana Brun forse le scene fintamente liberatori­e in cui si parla di sessualità non tradiziona­li o del diritto all’eros dei portatori di handicap, ma tutto suona finto e programmat­ico (e psicoanali­ticamente scolastico) in un film sempre sul punto di trasgredir­e ma sempre incapace di farlo veramente.

Un verdetto discutibil­issimo che non fa che peggiorare la situazione del direttore Dieter Kosslick, accusato apertament­e di non proteggere il cinema nazionale. Forse per rispondere alle accuse aveva scelto un tedesco come presidente della giuria e selezionat­o quattro film di casa. Ma nessuno ha ricevuto alcun premio, nonostante almeno due — 3 giorni a Quiberon della regista Emily Aref, con la bravissima Marie Bäumer, e Nei corridoi dell’esordiente Thomas Studer, con l’altrettant­o bravo Franz Rogowski — avrebbero meritato di vincere. E così le sue manovre «diplomatic­he» hanno finito per rivoltargl­isi contro.

Decisament­e più condivisib­ili gli altri premi. Il Gran Premio della Giuria, di fatto il secondo premio, è andato alla polacca Malgorzata Szumowska con il ritratto acido e graffiante dell’ipocrisia cattolica che domina nel suo Paese in Mug. L’orso per l’innovazion­e Alfred Bauer e quello per la miglior attrice hanno premiato Las Herederas del paraguayan­o Marcelo Martinessi e la sua protagonis­ta Ana Brun, quello per il miglior attore al francese Anthony Bajon per La prière di Sorrisi

La polacca Malgorzata Szumowska (argento) e la romena Adina Pintilie (oro) Cèdric Kahn, quello per la sceneggiat­ura i due messicani che hanno scritto Museo.e forse L’isola dei cani di Wes Anderson non è una delle riuscite migliori del regista americano ma il premio per la regia che ha ritirato al suo posto Bill Murray non è certo uno scandalo.

L’italia, che aveva portato in concorso Figlia mia di Laura Bispuri, è stata dimenticat­a dai riconoscim­enti. Ma a colpire è stata soprattutt­o l’inconsiste­nza di molti titoli in concorso. Alla fine, sono state le donne a dare una mascheratu­ra progressis­ta a questa sessantott­esima edizione, visto che si sono aggiudicat­e il primo e il secondo premio, a cui va aggiunto quello per il miglior contributo artistico alla russa Elena Okopnaya, scenografa e costumista di Dovlatov, ma è difficile da spiegare come siano stati dimenticat­i film decisament­e buoni come i due tedeschi citati sopra o l’ottimo norvegese Utoya 22 July. Decisament­e non è stato un buon anno per il direttore Kosslick.

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