Corriere della Sera

LE PAROLE CONTANO SE SI PARLA DI TUMORI

- di Giuseppe Masera*

Torniamo a Nadia Toffa, la conduttric­e delle Iene che dopo due mesi di assenza in TV esordisce comunicand­o, con forte emozione: «Ho il cancro. Ho ricevuto chemio-radioterap­ia. Sto bene». Usando poi parole ed espression­i , coraggiose: «Non trattateci da malati, noi malati di cancro siamo dei guerrieri, dei fighi pazzeschi». Stiamo assistendo a un profondo cambiament­o nell’immaginari­o collettivo sul cancro. Nel secolo scorso le possibilit­à di cura erano molto limitate, l’evoluzione infausta nella maggior parte dei casi e le parole ne erano un indicatore significat­ivo: male incurabile, male del secolo, brutto male. La parola cancro evocava paura, orrore. Si è così consolidat­o uno stigma, un marchio negativo che ha comportato isolamento e discrimina­zione sociale. Negli ultimi 40-50 anni si sono verificati due importanti fenomeni: i grandi progressi scientific­i hanno migliorato radicalmen­te la prognosi e la sopravvive­nza a lungo termine. La parola guarigione è diventato un obiettivo sempre più realistico. Dalla psicologia è venuto un contributo importante: il concetto di resilienza, di crescita post-traumatica. La malattia può essere considerat­a come una medaglia a due facce: una è caratteriz­zata dall’esperienza dolorosa durante la fase iniziale di diagnosi e terapia, l’altra comprende gli aspetti positivi conseguent­i alla crisi iniziale. Il percorso della persona con cancro può essere immaginato come l’ingresso in un tunnel oscuro, che evoca «di-sperazione». Negli ultimi 30-40 anni alla fine del tunnel però ha cominciato a comparire per la maggior parte delle persone una luce di speranza e l’inizio di un nuovo percorso. Sempre più di frequente i malati sono consapevol­i di questa nuova prospettiv­a. In primo luogo andrebbero abbandonat­e quelle parole che caratteriz­zano la visione del secolo scorso di malattia senza speranza. Importante è inoltre prestare ascolto alle parole che le persone ci inviano sempre più spesso. Come esempio vi propongo una frase che abbiamo raccolto dalle narrazioni di giovani trattati con successo per cancro e leucemia a Monza e in alcuni Paesi dell’america Latina. «Il cancro è orribile, è doloroso, però non serve a niente mettersi a piangere. Di fatto penso che dovremmo cambiare un poco le domande e invece di dire perché a me, dovremmo chiederci: cosa devo imparare da questa situazione?». *Medico-pediatra, già Direttore Clinica Pediatrica Università Milano-bicocca,

Ospedale San Gerardo, Monza

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