LE PAROLE CONTANO SE SI PARLA DI TUMORI
Torniamo a Nadia Toffa, la conduttrice delle Iene che dopo due mesi di assenza in TV esordisce comunicando, con forte emozione: «Ho il cancro. Ho ricevuto chemio-radioterapia. Sto bene». Usando poi parole ed espressioni , coraggiose: «Non trattateci da malati, noi malati di cancro siamo dei guerrieri, dei fighi pazzeschi». Stiamo assistendo a un profondo cambiamento nell’immaginario collettivo sul cancro. Nel secolo scorso le possibilità di cura erano molto limitate, l’evoluzione infausta nella maggior parte dei casi e le parole ne erano un indicatore significativo: male incurabile, male del secolo, brutto male. La parola cancro evocava paura, orrore. Si è così consolidato uno stigma, un marchio negativo che ha comportato isolamento e discriminazione sociale. Negli ultimi 40-50 anni si sono verificati due importanti fenomeni: i grandi progressi scientifici hanno migliorato radicalmente la prognosi e la sopravvivenza a lungo termine. La parola guarigione è diventato un obiettivo sempre più realistico. Dalla psicologia è venuto un contributo importante: il concetto di resilienza, di crescita post-traumatica. La malattia può essere considerata come una medaglia a due facce: una è caratterizzata dall’esperienza dolorosa durante la fase iniziale di diagnosi e terapia, l’altra comprende gli aspetti positivi conseguenti alla crisi iniziale. Il percorso della persona con cancro può essere immaginato come l’ingresso in un tunnel oscuro, che evoca «di-sperazione». Negli ultimi 30-40 anni alla fine del tunnel però ha cominciato a comparire per la maggior parte delle persone una luce di speranza e l’inizio di un nuovo percorso. Sempre più di frequente i malati sono consapevoli di questa nuova prospettiva. In primo luogo andrebbero abbandonate quelle parole che caratterizzano la visione del secolo scorso di malattia senza speranza. Importante è inoltre prestare ascolto alle parole che le persone ci inviano sempre più spesso. Come esempio vi propongo una frase che abbiamo raccolto dalle narrazioni di giovani trattati con successo per cancro e leucemia a Monza e in alcuni Paesi dell’america Latina. «Il cancro è orribile, è doloroso, però non serve a niente mettersi a piangere. Di fatto penso che dovremmo cambiare un poco le domande e invece di dire perché a me, dovremmo chiederci: cosa devo imparare da questa situazione?». *Medico-pediatra, già Direttore Clinica Pediatrica Università Milano-bicocca,
Ospedale San Gerardo, Monza