IL TALENTO SI FA STRADA NEL DOLORE
Il libro di Angelo Roma
Che cosa tiene insieme Totò e il teatro di Eduardo, una mamma gelida e un padre disprezzabile, un collegio che sembra una quinta del film L’attimo fuggente e una provincia del Nord che è una miscela di vizi privati e pubbliche virtù, dove il denaro è disvalore e la solidarietà si rovescia in carità pelosa? È la vita di un ragazzo, dall’adolescenza alla piena maturità, un percorso pieno d’insidie e angosce che Angelo Roma racconta come un thriller della coscienza, perché c’è un crimine — l’educazione ottusa e autoritaria che annulla volontà e aspirazioni di un figlio — ci sono responsabili e complici — genitori, preti, insegnanti — e c’è un Io giudice che cerca giustizia o almeno un risarcimento del protagonista, in credito verso la vita, verso la famiglia, verso un mondo di raccomandati e autoreferenziati che stenta a comprendere il suo smisurato talento.
E, come in un autentico thriller, la conclusione è naturalmente a sorpresa, sconvolgente, proprio nell’attimo in cui il lettore si prepara al lieto fine.
Il romanzo I contraccolpi (Mondadori, pagine 213, 17,90) racconta la vita di Marcello, figlio di un facoltoso farmacista di Bergamo, che sogna di fare l’attore di teatro e ci riuscirà pagando un prezzo altissimo: la rottura con la famiglia, la cacciata da casa, anni di sacrifici e schiaffi, ripensamenti e delusioni.
Il giovane attore porterà sulla scena il teatro di Eduardo. Lui, con un pesante accento bergamasco, regalerà al pubblico, in perfetto dialetto napoletano, la commozione e le risate amare di Natale in casa Cupiello, di Napoli milionaria, ma anche William Shakespeare, Anton Cechov, Charles Dickens. Il destino gli ha regalato bellezza, intelligenza, volontà feroce, le monete d’oro che Marcello spende per raggiungere la meta, finendo, come ogni attore di razza, per sdoppiarsi dalla vita reale, per raccontare sulla scena una storia che, a sipario calato, riporta in superficie incubi, traumi, sottili e inconfessabili vendette.
La scrittura di Angelo Roma è nervosa, asciutta, mai banale, efficace nel rappresentare il senso di tutto il romanzo, la successione di stati d’animo all’inseguimento di un’impossibile felicità: «Vivere per sempre con te stesso, o per sempre con un’ombra accanto a te che non ti somiglia affatto (….) un odioso sconosciuto che ti detta leggi e regole (…) che spesso entra di notte anche nei sogni, ricordandoti che è lui ad avere vinto».
Pagina dopo pagina, si avvertono sensazioni, odori, profumi, emozioni che collocano I contraccolpi nel solco di Carlo Cassola, Piero Chiara, Andrea Vitali, ossia nell’affresco delle piccole e grandi vergogne della provincia italiana, cui Angelo Roma aggiunge evidenti riferimenti alla sua formazione e alle sue passioni: cinema e letteratura americani, il teatro, la campagna pugliese, con la spontaneità della gente e la dolcezza dei tramonti. E in molte pagine, come in un romanzo di Saul Bellow, prendono il sopravvento la violenza dei rapporti non risolti, l’ambiguità di quelli cercati o subiti, la forza distruttrice dei compromessi, la disperata mancanza o bisogno d’amore.
Il giovane Marcello, il grande attore Marcello, l’uomo Marcello, ci dicono che ogni giorno è un nuovo inizio, che la vita prima o poi regala qualche opportunità di riscatto, perdono, rinascita. Ma Angelo Roma ci dice che le cicatrici rimangono, ci appartengono, ci tormentano e che il destino a volte si vendica in modo atroce anche dei più coraggiosi tentativi di lifting. Perché si continua ad avvertire «un dolore dolcissimo, pieno di rabbia e rancore, verso la parola vita».