Il problema dello sci non è tecnico ma di struttura
Che cosa sarebbe successo se Ester Ledecka, prima in superg, al posto di optare per lo snowboard, dove ha conquistato un altro oro, avesse corso e vinto la libera su quella pista a lei favorevole? Per l’italia un disastro, con rinuncia al parafulmine Goggia che con Brignone ha in parte salvato lo sci alpino, almeno quello in rosa. Il settore nel quale per noi è più semplice emergere, non per meriti federali, ma perché, unico caso al mondo, tutte le atlete dal 1990 sono arruolate e stipendiate dai corpi militari beneficiando inoltre di alti contributi pubblici . Quando le altre nazioni, senza questi benefit, investono soprattutto sui maschi. Dove la maggior concorrenza fa emergere le carenze del nostro sci : mancanza di una struttura manageriale e di una pianificazione a medio/lungo termine , più che di allenatori preparati . È necessaria una guida federale e manageriale più efficace, in grado di aiutare, sorreggere anche gli altri dirigenti. Funzione che nello sci italiano è di pertinenza del presidente Roda, che da politico ha puntato sul consenso immediato piuttosto che sul futuro. Una gestione non professionale, settori a compartimenti stagni, squadre giovanili staccate dalle nazionali, sistemi di preparazione e metodiche tecniche non coordinati e lasciati all’arbitrio del singolo. Per questo non abbiamo rincalzi e alle Olimpiadi abbiamo portato 10 over 33 anni su 18 azzurri/e sci alpino. Eccezione Alex Vinatzer, 19 anni, per molti la grande speranza. Sinora ha vinto due prove in un parallelo senza curve, ma ha mancato tutte le qualificazioni in Coppa. A quell’età Gustavo Thoeni, Piero Gros, Claudia Giordani, Nina Quario, Herbert Plank, Alberto Tomba, etc. avevano già vinto gare di Coppa del Mondo.