ROSARIO E VANGELO LA STRATEGIA DI SALVINI
Caro Aldo, adesso torna utile il rosario e il Vangelo! Bene ha fatto l’arcivescovo di Milano Mario Delpini a invitare a parlare di politica nei comizi. E poi il Vangelo non parla proprio di «prima gli italiani, di razza bianca, di ruspe, di armi legalizzate, di respingimenti, di rimpatri eccetera eccetera». Per favore, meno faccia tosta e più onestà intellettuale e dignità! Franco Sarto Arese (Mi)
Non c’è dubbio che l’arcivescovo Delpini abbia ragione: meglio lasciare il Vangelo, il rosario e i simboli religiosi fuori dai comizi. Non è inutile però ricordare che per mezzo secolo l’italia è stata governata da un partito, vigorosamente appoggiato dal Vaticano e dalla Chiesa, che aveva come simbolo la croce. Matteo Salvini non è certo l’erede della Democrazia cristiana, e neppure di Silvio Berlusconi; per il semplice fatto che certe stagioni non tornano, e certi leader di eredi non ne hanno. Però ha fatto in pochi mesi un’operazione politica intelligente, sia pure con qualche sbandata (i cortei con Casapound, gli ammiccamenti a Putin). Salvini ha capito che fino a quando avesse fatto il sindacalista del Nord, come Bossi e Maroni prima di lui, sarebbe stato sempre un passo indietro a Berlusconi. Sarebbe sempre dovuto andare ad Arcore, senza avere quel feeling che i predecessori alla guida della Lega avevano trovato. Così ha fatto della Lega un partito nazionale, per certi versi nazionalista. Anche i riferimenti alla religione fanno parte di questa strategia, certo spregiudicata, tanto più che in economia combina note di liberismo economico gradite al Nord e di protezionismo sociale apprezzate al Sud. Ovviamente non basta un «selfie» con Insigne per far dimenticare i cori contro i napoletani, e in genere tre decenni di politica antimeridionale del Carroccio. Però l’impressione è che Salvini avrà un risultato ottimo in chiave nazionale e buono anche al Sud; se non altro perché sono tutti voti nuovi. In questo modo ha posto le premesse per occupare almeno in parte lo spazio politico di Berlusconi. Al Nord i leader di Forza Italia, sia quelli che lo amano come Toti (ma anche Romani e il potente Ghedini), sia quelli che lo amano molto meno come la Gelmini, sanno che senza la Lega non si vince. C’è un elettorato di centro cui Salvini fa ancora paura. Ma la capacità di attrazione del Pd di Renzi si è dimostrata modesta, almeno fino a quando Berlusconi sarà in campo. Cioè ancora a lungo; ma non per sempre. Da qui la scommessa di Salvini sul futuro; che in un Paese dove la destra è largamente maggioritaria è destinata prima o poi a pagare.