L’ «offerta» di Berlusconi ai 5 Stelle
Il leader: «La presidenza di una Camera a loro se vince il centrodestra? Non dico no»
Sono il nemico da battere, ROMA quello contro il quale non si stanca di fare appelli nelle sue ininterrotte apparizioni in tivù, interviste alla radio, dichiarazioni ai giornali. Per Silvio Berlusconi il M5S resta «una setta, non un partito», guidata da un candidato premier che altro non è che un «ragazzotto», e il movimento arriverà pure primo fra tutte le forze politiche ma «non potrà governare». Però agli avversari un’apertura la fa. In caso di vittoria del centrodestra, dice il leader azzurro, si potrebbe lasciare al M5S la presidenza di una delle Camere: «Era una forma di gentilezza, di fair play, normale nella Prima Repubblica. Non sarei assolutamente contrario», dice a Radio Anch’io. Ma, aggiunge, «si potrebbe fare se la loro opposizione fosse nei limiti di una dinamica responsabile» con maggioranza e governo, come quella che rivendica a FI.
Dopo Matteo Salvini insomma, che pure aveva ipotizzato la presidenza di Camera o Senato a forze non di centrodestra se la sua coalizione vincesse, anche Berlusconi ragiona apertamente su quello che potrà succedere dopo il 4 marzo. Il tutto alla vigilia del primo e unico appuntamento comune che i leader del centrodestra si concederanno oggi, quando al Tempio di Adriano a Roma parleranno seduti gli uni accanto agli altri, ciascuno per qualche minuto, per poi farsi immortalare nell’abbraccio che serve a dimostrare unità.
Non che l’evento accenda d’entusiasmo i partecipanti: «Noi del centrodestra non siamo mica un gruppo musicale, non siamo i Pooh che devono cantare sempre assieme. Io poi sono stonato... Ma quello che conta è che abbiamo un programma comune», commenta Salvini. Non sarà una manifestazione ad uso e consumo dei sostenitori quindi, ma soprattutto per i media, fra le braccia dei quali subito dopo tutti si ritufferanno per proseguire negli appelli al voto nella penultima giornata utile per convincere gli indecisi. Ma anche per strappare all’interno della coalizione i voti che darebbero la supremazia al proprio partito.
Sì perché la competizione resta forte. Berlusconi continua a ripetere che, qualora non ci fosse una maggioranza, si dovrebbe tornare a votare presto, e nel caso fosse nel 2019 lui — annuncia — scontata l’incandidabilità della legge Severino si ricandiderebbe «certamente». Ma se invece tutto andasse come auspica, allora dovrebbe toccare ad Antonio Tajani l’incarico di premier: «Lui ha una grande responsabilità alla guida del Parlamento europeo. Ma Antonio, che con me ha fondato FI, è la persona migliore per ricoprire un ruolo così importante per il nostro Paese». E Draghi? «Sarebbe un ottimo premier, ma farebbe bene a rimanere dove sta per altri due anni». Salvini invece prevede che la Lega prevarrà prendendo «più del 15%», e dunque toccherà a lui stesso andare a Palazzo Chigi, mentre la Meloni vorrebbe essere «la prima donna premier».
Intanto ognuno immagina il proprio governo preferito. Per Berlusconi servirebbe un ministero «per la terza età» per aiutare i pensionati che non ce la fanno o «che vanno a Ibiza» a suo parere per spendere meno. Per la Meloni uno per la Giustizia sociale e uno per Turismo e Made in Italy, per Salvini uno per i disabili e uno per il «tesoro dei beni culturali».
Su Draghi «Sarebbe un ottimo premier, ma farebbe bene a rimanere dove sta per altri due anni»