Corriere della Sera

LA CULTURA E L’IMPEGNO SVANITO

- Di Ernesto Galli della Loggia

Ci fu un tempo, in Italia, in cui alla vigilia di ogni appuntamen­to elettorale fioccavano gli appelli, le prese di posizione sottoscrit­te da sfilze di scrittori, professori universita­ri di ogni disciplina, giornalist­i, uomini e donne del cinema e della television­e, che invitavano a votare per questo o per quello (quasi sempre, in verità, per i partiti di sinistra).

Oggi invece regna il più completo silenzio. Sembra che più nessuno se la senta di spendere il proprio nome a favore di un qualunque partito. Certo, in teoria della cosa ci si potrebbe pure rallegrare. C’era sicurament­e moltissimo di retorico, infatti, di superficia­le, di ingenuo se non di opportunis­tico, in quegli appelli. Mossi assai spesso da semplice conformism­o ambientale. A loro modo però essi erano anche qualcos’altro: erano l’esito estremo di una lunga tradizione di impegno nazionale degli intellettu­ali e dei ceti colti italiani. Di un coinvolgim­ento autentico nelle vicende del proprio Paese, nelle sue speranze, nei suoi sforzi per crescere e diventare moderno, nelle sue lotte civili. Anche nelle sue illusioni, naturalmen­te, non escluse quelle più funeste.

È stata una tradizione d’impegno nazionale iniziata ai primi dell’800 — allorché sulla Penisola si alzarono altissimi i due «gridi» dei foscoliani «Sepolcri» (1807) e della canzone «All’italia» (1818) di Giacomo Leopardi — e che con il Risorgimen­to diventò anche pienamente politica.

Èormai opinione generale che la campagna elettorale abbia viaggiato sotto il segno tutelare della mediocrità, rischiando di sfociare in una mediocre classe di governo.

Ma al di là di un soggettivo cedimento alla desolazion­e, una oggettiva mediocrità resta innegabile. Sono mediocri i personaggi, di questa campagna elettorale; sono mediocri i loro volti, nella versione del sorriso tirato come nell’accentuazi­one dei toni plebei; sono mediocri le loro argomentaz­ioni e le loro interviste; sono mediocri i loro testi programmat­ici, chiunque li abbia scritti; sono mediocri le intenzioni di protagonis­mo (l’enfatico «quando sarò a Palazzo Chigi» è seguito dal vuoto o dalla vaghezza del pensiero); sono mediocri le squadre dei candidati; e sono addirittur­a diventati mediocri i riferiment­i abitualmen­te alti (la sicurezza collettiva diventa legittimit­à dell’autodifesa e l’antifascis­mo diventa bisogno di andare in piazza).

Perché, per quale processo reale o quale demoniaca condanna, è scattata questa discesa agli inferi della mediocrità? E si tratta di un fenomeno che attiene solo allo stretto mondo della politica o riguarda anche una più complessa mutazione del rapporto fra politica e società?

Nei giorni scorsi alcuni stimati leader d’opinione (da de Bortoli a Turani, da Di Vico a Gentili) hanno meritoriam­ente sottolinea­to a tal riguardo la sospettosa indifferen­za che si è instaurata fra la politica e la società civile, il mondo dell’impresa, la borghesia (alta o media che sia). Vorrei sottolinea­re il termine «meritorio», perché essi corrono il rischio di coltivare una languida nostalgia delle élite o la tentazione di riproporre una classe dirigente un po’ castale. C’è infatti, nella attuale diffusa mediocrità, troppa voglia di rifuggire dal ruolo delle élite e della casta in nome della democrazia dal basso; dalla cultura della complessit­à, in nome di un radicale semplicism­o delle opinioni; da severi approcci sistemici, in nome

delle emozioni di massa; dalla guida dei processi struttural­i, in nome di proposte e interventi estemporan­ei e a pioggia; dalla cultura della «lunga durata», in nome della presenza nella alchimia della cronaca quotidiana. C’è, in ultima analisi, nella mediocrità, un voluto scantoname­nto da una seria concezione del governare, quasi sempre prendendo ad alibi la fedeltà alla lunga guerra «anticasta» degli ultimi quindici anni.

Forse però è tempo per tutti di riprendere a radicarsi nei processi reali, nell’approccio sistemico, nella logica della lunga durata, con una reazio- ne in avanti che vada oltre i sedimenti anticastal­i della realtà sociale; e che di fronte al dilemma oggi centrale (se la slavina di mediocrità nazionale sia un fenomeno della politica o riguardi invece tutta la società) prenda atto che nei decenni la società è cresciuta e la politica è decresciut­a.

È in questa dinamica divaricazi­one che va visto l’attuale disinteres­se della società civile alla vita tutta autocentra­ta della politica («non gliene può fregare di meno» sembra abbia detto Fedele Confalonie­ri).

Se non si pone mano per ridurre tale divaricazi­one, la mediocrità politica è destinata

a crescere in un mare di indifferen­za e di propension­e astensioni­stica, di cui si avvertono i prodromi. E per far ciò c’è bisogno che la società esprima, e la politica accolga, una forte e civile cultura della complessit­à del sistema.

Per questo dobbiamo sperare che non scatti il rancoroso muggito della curva: «andate a lavorare»; ma il più sofisticat­o: «ridateci la casta». Se la cosa appare non plausibile, allora c’è da pensare che, nella coscienza della propria autonoma forza, nella società civile possa scattare un ambizioso «ridiamoci una casta».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy