Palazzo sottosopra Gli anti-sistema vogliono governare
La simmetria tra Renzi e Berlusconi contro Di Maio e Salvini
Èun mondo alla rovescia: i partiti tradizionalmente di governo rimarcano l’ipotesi di fare opposizione, mentre le forze considerate anti-sistema preannunciano senza remore il loro avvento a Palazzo Chigi.
Il mood dell’ultima settimana di campagna elettorale, depurata dalle promesse irrealizzabili, ha proposto uno scambio di ruoli tra i leader che non ha precedenti nella storia repubblicana. C’è infatti un’evidente simmetria tra la narrazione di Renzi, nella quale risalta la tesi che «se il Pd non sarà primo partito staremo all’opposizione», e le esternazioni di Berlusconi, secondo cui sarebbe necessario «tornare subito al voto» se il centrodestra non ottenesse la maggioranza. Sono toni assai diversi dagli atti di Di Maio — che folkloristicamente ha già trasmesso la sua squadra di ministri al capo dello Stato — e dai modi con cui Salvini ha dato appuntamento alla prossima settimana «quando sarò il presidente del Consiglio incaricato».
C’è un motivo se il Palazzo appare sotto-sopra e se le forze storicamente di governo tendono a estremizzare le loro posizioni: cercano in qualche modo di entrare in sintonia con quel pezzo di Paese descritto in uno studio riservato di Swg che va avanti da 15 anni. Rispetto al 2002 è un’altra Italia, che non solo in larga maggioranza è diventata antieuropeista e si sente esclusa, ma che soprattutto torna a spingere verso la radicalizzazione. È un fenomeno che aveva raggiunto l’acme sul finire del 2013 ma che da allora si era progressivamente affievolito. Oggi invece, dinnanzi alla scelta se proseguire sulla strada delle riforme o puntare verso soluzioni più rivoluzionarie, la forbice è tornata a ridursi: 48% contro 40%.
Così si può spiegare il motivo per cui le forze che hanno cavalcato per anni il malcontento oggi ostentano buonismo, perciò Salvini ha posteggiato la ruspa e Grillo per conto di Di Maio ha chiuso l’epopea del «vaffa». In ogni caso tutti i partiti avvertono la sensazione di trovarsi alla vigilia di un altro 1994, all’azzeramento delle categorie tipiche della Seconda Repubblica, prefigurando l’assenza iniziale di un equilibrio stabile. Ce n’è un riscontro nei report di Swg, dove si nota come e quanto sia cambiata la mappa delle identità politiche in cui si riconoscono oggi i cittadini. Il punto è che, rispetto a ventiquattro anni fa, il prossimo rischia di essere un Parlamento di sole opposizioni, ultimo lascito del vecchio bipolarismo muscolare.
In questo quadro l’obiettivo di Di Maio era e resta quello di «trovarsi al centro di ogni schema»: come a un tavolo di poker, confida di ottenere dalle urne una scala bilaterale da giocarsi nelle trattative di Palazzo. La speranza del leader grillino è per converso la vera preoccupazione di Berlusconi: l’altro ieri si è rabbuiato alla lettura di alcuni dati, temendo che M5S possa tentare di costruire una maggioranza insieme a Leu e a un Pd «derenzizzato». E il giorno prima — alla Tribuna di Raiparlamento — tra il serio e il faceto ha detto che «un governo Di Maio-salvini sarebbe una tragedia»: «Se così fosse, inviterei familiari e amici in un’isola lontana dove ho un residence capace di ospitare un centinaio di persone».
In attesa che il risultato elettorale dia le carte, c’è un aspetto importante reso noto dal Cavaliere durante la sua partecipazione a Matrix: «Il centrodestra ha deciso che alle consultazioni non andrà in ordine sparso. Al Quirinale saliranno insieme i capigruppo e i leader di tutti i partiti della coalizione». Sarà l’occasione per mostrarsi uniti ma anche un modo per marcarsi. Perché se Salvini sostiene che «con Berlusconi è preferibile avere carte scritte», anche Berlusconi nutre sospetti e soffoca a stento il disappunto: «Capisco che il Rosatellum ha portato ognuno a cercare voti per sé — ha confidato l’altra sera al termine dell’ennesima intervista televisiva — ma le continue polemiche ci hanno penalizzato. E io di polemiche con gli alleati non ne ho fatte...».
Alla vigilia della sfida per lo «scudetto» è evidente quali siano state le squadre in campo. Renzi e Berlusconi si sono appellati agli elettori usando persino la stessa battuta contro i grillini: «Sono la serie C». Di Maio e Salvini si sono invece divisi il compito di attaccare il Cavaliere e il leader del Pd. Eccolo il mondo alla rovescia.