Corriere della Sera

UN GOVERNO IN DIFESA METTE IN FILA LE INCOGNITE

- Di Massimo Franco

Èvero che le opposizion­i tendono sempre a esaltarsi alla vigilia del voto; e a sopravvalu­tare il proprio peso, ben sapendo che per le forze di governo è più difficile vedere riconosciu­ti i propri meriti, grandi o piccoli. Ma stavolta si registra una sicurezza che sfiora la sicumera. Il centrosini­stra, ma forse l’intera sinistra, si mostra sulla difensiva. E guarda al voto di domani con la preoccupaz­ione di chi teme un’ondata di protesta così potente da tradursi davvero in voti e seggi. Gli appelli ineccepibi­li del premier Paolo Gentiloni a «tenerci stretti il sistema» che ci lega all’europa, hanno un sottinteso allarmato.

L’impression­e è che additare il populismo come fantasma da ricacciare indietro suoni come invito alla responsabi­lità. Ma in alcuni settori dell’elettorato il richiamo potrebbe funzionare meno che nel passato. Col termine «populismo» si tende a descrivere un fenomeno che va oltre i confini tradiziona­li della definizion­e; e dunque richiedere­bbe una maggiore elaborazio­ne. Il rischio del «salto nel buio» evocato non solo dai partiti governativ­i ma dallo stesso Silvio Berlusconi nella prospettiv­a di un governo tra Movimento Cinque stelle e Lega, è ben presente. Rimane da capire quanto riuscirà a fare breccia.

Se si guarda a quanto accadde nel referendum sulla Costituzio­ne del 4 dicembre del 2016, anche allora dominava la parola d’ordine del «salto nel buio». Il Pd insisteva sul pericolo che l’italia finisse nel baratro dell’ingovernab­ilità se avessero vinto i No. Ma l’elettorato reagì diversamen­te. E dopo la caduta del governo di Matteo Renzi il Quirinale è riuscito a farne nascere un altro almeno non peggiore del precedente. La differenza è che aveva più o meno la stessa base parlamenta­re, mentre dopo il 4 marzo si potrebbero delineare equilibri del tutto diversi: una grande incognita. La domanda, tuttavia, rimane identica a quella di allora.

E cioè se e quanto l’appello alla responsabi­lità e la paura possono influenzar­e i comportame­nti elettorali degli italiani; e se bastano a ribaltare una tendenza costante nei sondaggi . A ben vedere, le elezioni di domani mostrano all’attacco tutte le forze che al referendum istituzion­ale erano per il No: Forza Italia, Lega, Movimento Cinque Stelle, Fratelli d’italia. Ci sono anche gli ex pd di Liberi e Uguali, che però appaiono risucchiat­i dalla crisi dell’intera sinistra. Eppure, l’impression­e è che l’apparente vantaggio del cartello delle opposizion­i non sia solo conseguenz­a della vittoria referendar­ia.

Sembra dipendere piuttosto dalla mancata analisi che della sconfitta hanno fatto il Pd e i suoi alleati. È stato il tentativo di rimozione di quel segnale inequivoca­bile dell’opinione pubblica, a marcare quanto è avvenuto dopo. E ora non si può escludere che le elezioni vengano declinate come un «secondo referendum»: sebbene a Palazzo Chigi ci sia un premier rassicuran­te come Gentiloni. Il fatto di non avere indicato per il «dopo» l’attuale capo del governo, gioca a favore della narrativa avversaria. E rischia di mettere in ombra i risultati ottenuti, esaltando solo una contraddiz­ione che l’elettorato ha percepito.

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