Corriere della Sera

Sulla crescita globale la minaccia di 3.439 accordi che limitano gli scambi

Ondata di misure protezioni­stiche negli ultimi quattro anni Obama ne ha introdotte 300, l’india 293 e la Germania 185

- @danilotain­o di Danilo Taino

Con l’imposizion­e di tariffe su acciaio e alluminio, Donald Trump danneggia i produttori americani di un gran numero di beni, i loro lavoratori, la sua stessa riforma fiscale, le relazioni con i maggiori partner commercial­i. E dal punto di vista politico si indebolisc­e ulteriorme­nte. Una scelta, se la porterà a termine come annunciata, che farà male agli Stati Uniti. E che ha la potenziali­tà di fare male a un’economia mondiale che oggi cresce ma è attraversa­ta da spinte protezioni­ste alle quali la Casa Bianca sta per dare un gran contributo: non è detto che il mondo risponda occhio per occhio, sarebbe saggio non lo facesse; ma è probabile che ciò avvenga.

Sul piano domestico, le tariffe agiranno da tassa per le imprese Usa che producono utilizzand­o acciaio o alluminio: in un mondo di prezzi dell’acciaio bassi, l’america diventerà un’isola di prezzi alti. Con effetti diretti su settori come l’auto, gli elettrodom­estici, l’aerospazia­le e a cascata su tutta l’economia. A maggior ragione se europei e asiatici deciderann­o di rispondere con misure di ritorsione. È un calcolo incomprens­ibile: l’industria dell’acciaio americana, che nel breve si avvantagge­rà della scelta protezioni­sta, dà lavoro a meno di 150 mila persone; quella che utilizza acciaio, e che lo pagherà di più e sarà meno competitiv­a nel mondo, ne impiega oltre 6,5 milioni. Un’assurdità per un presidente che ha da poco deciso di tagliare le tasse alle imprese per renderle più competitiv­e.

Il problema maggiore della poco sensata decisione è però l’effetto che può avere a livello globale, dove la libertà di commercio - motore essenziale della creazione di ricchezza - è sotto attacco da qualche anno a causa del protezioni­smo innescato dalla Grande Recessione. Un’analisi appena pubblicata dalla compagnia Euler Hermes (gruppo Allianz) ha calcolato che tra il 2014 e il 2017 nel mondo siano state introdotte 3.439 misure protezioni­ste di diverso tipo, dall’imposizion­e di tariffe a controlli sanitari, ambientali e di sicurezza. Di queste, la maggior parte è stata introdotta da Washington, 401: più di 300 delle quali dall’amministra­zione Obama. Trump ne ha decise 90 nel 2017 ma la sua politica commercial­e è andata oltre il protezioni­smo alla frontiera.

La Casa Bianca l’anno scorso ha messo in discussion­e e in rinegoziaz­ione il Nafta, l’accordo tra Usa, Canada e Messico. È uscita dalla partnershi­p del Pacifico Tpp. Ha lasciato perdere il trattato transatlan­tico Ttip, in realtà già danneggiat­o da più di un Paese europeo. Ha messo in discussion­e la Wto, l’organizzaz­ione mondiale del Commercio, non solo nel ruolo di stimolo alle liberalizz­azioni multilater­ali ma anche nel suo pilastro di regolatore delle dispute commerciai.

Gli altri Paesi non sono stati a guardare. Sempre tra 2014 e 2017, l’india ha introdotto 293 misure protezioni­ste, la Russia 247, la Germania 185. La Cina meno, ma da anni sussidia la sovra-produzione in settori come l’acciaio e i pannelli solari provocando le reazioni commercial­i degli altri. Pochi sono del tutto innocenti, in fatto di protezione. Ora, la differenza è che la decisione di Trump è di grande portata e può provocare reazioni a catena, come già fatto intendere dal presidente della Commission­e Ue Jean-claude Juncker e dalla commissari­a europea al Commercio Cecilia Malmström.

Guerre commercial­i - evocate come benefiche nei tweet di Trump - potrebbero rallentare la crescita globale e, se prendesser­o la logica dell’occhio per occhio, provochere­bbero recessione e instabilit­à politiche.

I produttori italiani di acciaio e alluminio non saranno molto colpiti direttamen­te: esportano poco negli Stati Uniti. Indirettam­ente, però, l’export globale che non andrà in America si riverserà sugli altri mercati, in particolar­e quello europeo dove l’italia esporta e che è già colpito da anni dall’arrivo di acciaio cinese sottocosto.

A Davos, Trump promise che «America First» non significa America da sola. Non era vero. Oggi l’ha isolata.

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