Corriere della Sera

Dalla Calabria l’ok per uccidere il reporter

Omicidio Kuciak, gli investigat­ori italiani: coinvolte ‘ndrine importanti. Ancora nessun fascicolo dalla Slovacchia

- Dal nostro inviato Francesco Battistini

BRATISLAVA S’era procurato una cartina della Calabria, Jan Kuciak. Con una mappa delle cosche. L’aveva trovata in un libro sulla ‘ndrangheta e in fondo alla sagoma della regione, sulla punta dello Stivale, aveva cerchiato due righe a pennarello: «Bova-palizzi. Talia, Vadalà-scriva». Sul cellulare del giornalist­a era anche memorizzat­o il numero d’uno di loro, Antonino Vadalà, col traffico dati che raccontere­bbe una serie di telefonate.

Qualche giorno prima dell’uccisione, c’era stato anche un viaggio fino laggiù: una ricerca di conferme, per l’inchiesta che Kuciak stava per pubblicare? O addirittur­a un appuntamen­to col possibile assassino?

Jan adesso è all’obitorio, e oggi ci saranno i funerali. I tre Vadalà sono in prigione assieme agli altri quattro calabresi, e oggi si decide se ci resteranno. Il libro è nel materiale sequestrat­o dalla polizia slovacca, e se ne stanno spulciando gli appunti a margine: un po’ tardi, forse. Nel 2013, destinazio­ne Reggio Calabria, da Bratislava era partita una richiesta d’informazio­ni sulle ricchezze di questi imprendito­ri italiani, spuntati a Trebisov e dintorni. E la Dda reggina aveva risposto, spiegando ai colleghi slovacchi come la ‘ndrangheta reggina si divida in tre mandamenti — Reggio, lo Ionio e il Tirreno — e su questa mappa i Vadalà, i Rodà, i Catroppa non fossero dei parvenu. Tutt’altro: Condofuri e la sua frazione Gallicianò, paesini d’alcuni degli arrestati, ospitano ‘ndrine che hanno un ruolo importante. E che sono molto abili anche all’estero, avvertivan­o gli investigat­ori italiani, nell’imporre imprese agricole acchiappa-contributi: proprio quelle su cui aveva messo gli occhi Kuciak.

Tutte queste informazio­ni, date cinque anni fa, perché sono state ignorate? Eppure questa libertà di movimento, concessa ai calabresi «slovacchi», per la Dda aveva un solo significat­o: a Trebisov si lavorava pesante. E oggi fa pensare agl’investigat­ori che l’omicidio del reporter, comunque avallato da una cupola calabrese che nulla mai trascura, sia stato organizzat­o in Slovacchia: «A Reggio sapevano che cosa stava per accadere, ma nessuno ha messo dei veti». Che interessi c’erano dunque in gioco, per arrivare addirittur­a a sparare, accettando il rischio di questa improvvisa, sgradita pubblicità mondiale? Chi indaga, si dà due risposte possibili: 1) i clan sapevano di poter contare sulle coperture nel governo slovacco, tanto che nessuno ha cercato la fuga nella vicinissim­a (ed extracomun­itaria) Ucraina; 2) come si vide coi tedeschi per la strage di Duisburg del 2007, la ‘ndrangheta in Europa riesce ancora a rappresent­arsi come un fenomeno limitato solo a qualche rozzo pastore emigrato.

«Se il giornalist­a slovacco aveva iniziato le sue indagini in Calabria — spiega una fonte italiana —, è in Calabria che bisogna lavorare per capire chi l’ha ucciso». Puntando i fari, più ancora che sui sette arrestati, sulla cerchia dei loro familiari e conoscenti. Capendo chi s’è mosso nelle ultime settimane sull’asse Reggio-bratislava, monitorand­o gli ingressi dall’ucraina, le telecamere sulle autostrade dall’austria e dalla Polonia, il traffico passeggeri di stazioni e aeroporti… Un’indagine enorme, anche in un Paese così piccolo.

Sempre che s’indaghi a fondo, ben inteso. Ros e Sco italiani non hanno ancora ricevuto i fascicoli dalla Slovacchia. E il capo della polizia, Tibor Gaspar, ha dovuto smentire ufficialme­nte che ci sia poca collaboraz­ione coi colleghi stranieri. È un fatto, però, che nemmeno all’ambasciata italiana sia stato ufficialme­nte comunicato dove sono detenuti i sette accusati del delitto. E che il procurator­e di Bratislava abbia vietato allo stesso Gaspar di dare qualsiasi dettaglio su un’inchiesta che arriva fino al primo ministro. «Fico dimettiti!», urlano migliaia di persone in piazza Hviezdosla­v, quando cala il buio. Arrivano nel gelo al palazzo del governo, scuotono con forza i cancelli, mostrano le foto desnude della collaborat­rice-amante del premier Robert Fico, che era in affari coi calabresi. Ieri, la bella Maria è finita sotto scorta. Il suo Fico s’è barricato, a tenere in piedi un traballant­e governo. Tacciono tutt’e due.

Le indagini

«Se il giornalist­a aveva iniziato le sue indagini in Calabria è in Calabria che bisogna lavorare per capire chi l’ha ucciso»

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