Corriere della Sera

DIETRO IL DECLINO DELL’ITALIA QUELLO DELLA CLASSE DIRIGENTE

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Caro Aldo, Mi ha colpito l’editoriale in cui Lucrezia Reichlin tratta il problema del lavoro: «L’italia è indietro nella formazione del capitale umano». Questo significa che la scuola ha fallito. E l’attuale classe dirigente proviene dalla scuola di cui sopra. Come possiamo sperare di cambiare la tendenza? Piero Vittorio Molino pierovitto­riomolino@ libero.it

Caro Piero Vittorio,

Subito dopo la mancanza di lavoro per i giovani, la più grande questione italiana è la selezione della classe dirigente. Il declino è sotto gli occhi di tutti, e non riguarda solo la politica. In alcuni casi il problema è il mancato ricambio: l’italia è l’unico Paese dove le guerre generazion­ali vengono vinte dai vecchi, con imprese in mano a ultraottan­tenni e figli e nipoti in vacanza da una vita, come nella canzone dello Stato sociale. In altri casi il problema è il ridimensio­namento del Paese. Il presidente di Confindust­ria era Agnelli quando l’italia aveva colossi, a cominciare dalla Fiat, che ora è una multinazio­nale con sede all’estero e di Confindust­ria non fa più parte; il declino del sindacato è conseguent­e e parallelo; la Banca d’italia ha ceduto a Francofort­e quasi tutti i poteri, tranne quello di vigilare — cosa che non le è sempre riuscita — e di custodire lingotti d’oro nel caveau di via Nazionale. Ma il punto vero è un altro. Troppo spesso il criterio di selezione della classe dirigente è la mediocrità. La mediocrità crea consenso, non urta nessuno, rassicura. Spesso si accompagna alla fedeltà, che è un pregio quando coincide con la lealtà, non lo è quando coincide con la mancanza di indipenden­za; e quale sarà il tasso di indipenden­za dei parlamenta­ri che eleggeremo tra pochi giorni? La loro autonomia si misurerà dalla capacità di dire dei no nell’interesse del Paese? O dall’abilità con cui cambierann­o casacca per garantirsi cinque anni di indennità?

Lei caro Piero Vittorio pone il tema della scuola. La classe dirigente italiana spesso non manda i figli alla scuola pubblica, perché non ci crede più. Ma l’interclass­ismo è una ricchezza. Ai figli dei ricchi apre gli occhi sulla società vera; ai figli dei poveri la scuola offre un’opportunit­à. Ma oggi qualche liceo considerat­o d’élite si fa pubblicità precisando che di allievi poveri ce ne sono pochissimi.

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