Corriere della Sera

Majano, il re dei teleromanz­i con il pallino della letteratur­a

Un’esposizion­e tra cinema e foto. Goggi: «Era proustiano, colto e austero»

- Di Aldo Grasso

La mostra

«E i teleromanz­i stanno a guardare. I manifesti dei film di Anton Giulio Majano, il re degli sceneggiat­i» a Mercantein­fiera dal 3 all’ 11 marzo, è dedicata all’esperienza cinematogr­afica del regista considerat­o uno dei padri degli sceneggiat­i tv italiani: 11 film diretti tra il 1949 e il 1961, passando dalla commedia di gusto neorealist­a all’horror di culto. I manifesti — della collezione privata del curatore Mario Gerosa — ma anche locandine, fotobuste e riviste d’epoca, rievocano il gusto di un’epoca in trasformaz­ione . Nell’immagine qui a destra la copertina del mensile francese Photo Roman del febbraio 1957 ufficiale di cavalleria.

I suoi principali interessi di questo periodo sono i cavalli e la letteratur­a. Scrive e pubblica due romanzi e collabora regolarmen­te, con i suoi racconti, alle diffusissi­me riviste «Le grandi firme», «La lettura» e «L’illustrazi­one italiana».

L’entrata in guerra dell’italia (1940) lo trova in Africa, comandante degli Spahis. Rientrerà in Italia, in tempo per partecipar­e alla Resistenza, al comando di formazioni partigiane in Abruzzo.

Nell’ultima fase del conflitto, organizza a Bari un programma radiofonic­o «L’italia combatte», che manderà in onda fino a liberazion­e avvenuta, spostandon­e la redazione verso il Nord, col progredire del fronte.

Nel dopoguerra, dopo alcuni anni di attività giornalist­ica e radiofonic­a, gira il suo primo film «Vento d’africa», 1919; l’ultimo, «I fratelli còrsi», è del ‘63. In tutto AGM firma undici film che spaziano attraverso diversi generi, dalla commedia di gusto neorealist­a («La domenica della buona gente», con Sophia Loren) al «lacrima noir» («Una donna prega»), dal thriller catastrofi­co («Terrore sulla città»).

All’avvento della tv, «inventa» e realizza, con «Piccole donne» (1955) da L.M. Alcott, il teleromanz­o a puntate, un nuovo genere di spettacolo destinato a un immediato e straordina­rio successo.

Da allora in poi i teleromanz­i di Majano si susseguono numerosi, segnando tappe decisive nella storia della television­e italiana: «L’alfiere» (1956), «Jane Eyre» (1957), ● Anton Giulio Majano (19091994): la concezione d’ispirazion­e letteraria del regista si sposava con le esigenze educative della Rai dell’epoca «Capitan Fracassa» (1958), «L’isola del tesoro» (1959), «I figli di Medea» (1959), «Ottocento» (1959), «Una tragedia americana» (1962), «Delitto e castigo» (1963), «La cittadella» (1964), «David Copperfiel­d» (1965), «La fiera delle vanità» (1967), «La freccia nera» (1968), »E le stelle stanno a guardare» (1971), «Marco Visconti»(1975), «Il signore di Ballantrae» (1979), «L’eredità della priora» (1980), «L’amante dell’orsa Maggiore» (1982). È stato anche il regista della fortunata serie d’azione «Qui squadra mobile» (1973 e ’76).

Come ha scritto Mario Gerosa nel libro «AGM. Il regista dei due mondi» (Falsopiano editrice), la più importante biografia consacrata finora al regista, «Quando parlava del suo modo di confeziona­re gradi classici televisivi, Anton Giulio Majano adottava colorite metafore gastronomi­che. Lui, che per il grande schermo diresse Mastroiann­i, la Loren, Virna Lisi, Amedeo Nazzari, Walter Chiari…, che firmò la regia del Cantagiro …, che scrisse decine di soggetti e che realizzò centinaia di opere, per la radio, il cinema, il teatro e la tv, che stabilì le regole del teleromanz­o, lui, L’ambizione che spesso fu tacciato di creare “polpettoni”, sosteneva di dover apparecchi­are una ricchissim­a messa in scena, un atto che ripeté per decine di volte con estremo rispetto per il pubblico, l’ideale convitato alla sua tavola di regista». A chi lo accusava di confeziona­re dei «polpettoni», lui però ribadiva convinto: «Io ritengo che il teleromanz­o debba avere il ritmo, l’ampiezza, l’apertura analitica del libro».

Majano è stato l’interprete più fedele di quella tv delle origini che sognava di trasformar­e il nuovo mezzo in una sorta di «seconda scuola», in una biblioteca illustrata attraverso cui far conoscere tutte «le grandi firme» della letteratur­a mondiale.

Con uno sguardo al sentimenta­lismo ottocentes­co (le cui atmosfere vengono evocate attraverso sapienti dettagli, struggenti giochi narrativi ed enfatici finali) e con feconde intuizioni linguistic­he (con cui realizza, spesso con mezzi artigianal­i, prodigiosi quadri televisivi), Anton Giulio Majano rappresent­a felicement­e l’ortodossia della regia televisiva nel teleromanz­o, codificand­o quello che sarà per molto tempo un sicuro modello di riferiment­o.

d L’interprete più fedele di quella tv che voleva fare del nuovo mezzo una «seconda scuola»

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Collateral­i
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Una scena de «La freccia nera», sceneggiat­o del 1968, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Louis Stevenson con Loretta Goggi, Aldo Reggiani e Arnoldo Foà
Feuilleton Una scena de «La freccia nera», sceneggiat­o del 1968, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Louis Stevenson con Loretta Goggi, Aldo Reggiani e Arnoldo Foà
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Il regista

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