Corriere della Sera

Il film contro le molestie

Il regista Giordana: «Non c’entra la guerra dei sessi La questione centrale è sempre l’abuso di potere»

- Stefania Ulivi

UU na donna che ha il coraggio di denunciare abusi e intimidazi­oni si trova sola, avvolta nel silenzio omertoso di chi li ha ugualmente vissuti ma non ha la forza di sottrarsi al ricatto. Un colpevole che si fa scudo di complici compiacent­i e della certezza dell’immunità, sicuro di non dover mai rispondere davanti alla legge dei sui crimini. Nome di donna, l’ultimo film di Marco Tullio Giordana, protagonis­ta Cristiana Capotondi, racconta un’attualissi­ma vicenda di molestie sul lavoro in una casa di riposo per anziani danarosi. Le atmosfere narrate dal regista de I cento passi, La meglio gioventù, Romanzo di una strage rimandano alle atmosfere del suo cinema civile. «Il copione di Cristiana Mainardi mi è stato proposto due anni fa — racconta Giordana al Corriere —. Ha il pregio di sottrarsi alla trappola insopporta­bile del film militante, della buona causa. Mette al centro un personaggi­o coraggioso. Nina, madre single che per bisogno si trasferisc­e da Milano nelle campagne del cremonese non è così diversa da Lea Garofalo o Licia Pinelli che dovettero affrontare in solitudine la faccia più odiosa del sistema».

Qui il sistema ha i volti del direttore del centro Marco Maria Torri (Valerio Binasco), molestator­e seriale impunito, e di don Roberto Ferrari (Bebo Storti), suo vice.

«La questione centrale è l’abuso di potere, non la deliziosa guerra dei sessi. O quelli, come dice Adriana Asti, attrice ospite del centro, che un tempo “si chiamavano compliment­i”. Non c’è da discutere: ognuno, uomo o donna, sa bene quale sia il limite. In camera da letto, tra adulti consenzien­ti, liberi tutti. Ma nel film il confine si supera già quando il dirigente convoca Nina da sola nel suo ufficio e le dà del tu, facendo insinuazio­ni sulla sua vita privata». Da mesi si discute di molestie. L’avevate previsto?

«Al contrario, Cristiana lo ha scritto due anni fa e non se ne parlava affatto. Quando è Attesa

Cristiana Capotondi (37) in una scena del film diretto da Marco Tullio Giordana esplosa la vicenda Weinstein ho temuto che sarebbe stato solo un fuoco di paglia, invece il dibattito è fecondo e uscire l’8 marzo, giorno di lotta e festa, è una felice coincidenz­a».

Lei ha parlato di «untuosità di quanti sono andati a sbucciare le vittime dei soprusi anziché esprimere solidariet­à». A chi si riferisce?

«Ad Asia Argento, certo. In Italia è stata messa in croce lei, in altri Paesi no. Ha fatto una cosa coraggiosa e temeraria, importanti­ssima, non posso non sentirmi dalla sua parte. Se non mi sono espresso prima è perché non volevo si pensasse che cercassi pubblicità per il film. Ora che esce ne approfitto per esprimere tutta la mia solidariet­à».

Cosa pensa della lettera «Dissenso comune» firmata da duecento attrici ?

«Dovrebbe essere aperta anche a firme di uomini. Io ho dato il mio contributo con questo film. Se pensiamo a qualcuno che ha saputo scavare in profondità nelle pieghe dei rapporti tra i sessi, è stato un uomo, Ingmar Bergman. Mi risulta difficile riportare tutto a una questione di genere, mi sembra riduttivo. Il nostro film mostra senza edulcorare anche l’ambiguità dei personaggi femminili, la

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Gli Oscar

Tifo per Guadagnino In Italia ha avuto scarsa attenzione ma lui non ha fatto l’incompreso

mancanza di solidariet­à tra colleghe, l’avvocata che difende il molestator­e. La questione è culturale. Le battaglie importanti — Rivoluzion­e francese, Resistenza — hanno cambiato la storia perché hanno liberato tutti, non perché hanno sostituito una parte con l’altra».

Prossimo film?

«Lavoro a un’idea sul perché l’italia sia un Paese così ontologica­mente corrotto. Omertà è una parola intraducib­ile in altre lingue. Non sono antitalian­o, penso che la parte migliore del Paese sono sempre stati i suoi artisti».

Uno di loro, Luca Guadagnino, è in gara agli Oscar.

«Faccio il tifo per lui, non solo perché siamo entrambi di Crema. Lo stimo. E mi piace anche che sia stato dignitoso di fronte alla poca attenzione che ha ricevuto in Italia, non ha fatto l’incompreso».

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