RICOSTRUIRE INSIEME L’IDEA DI FUTURO PERDUTA
È una sindrome che colpisce tutti i paesi avanzati, ma che in Italia tocca i livelli più acuti: per quanto paradossale, in società libere e benestanti, a venire meno è il senso del futuro, l’idea cioè che ciò che ci attende possa essere migliore di ciò che c’è già. Con la caduta delle ideologie e dopo la fine della globalizzazione espansiva, facciamo fatica a vedere un orizzonte davanti a noi. Siamo continuamente sollecitati dall’innovazione ed estasiati dai successi della tecnica. Viviamo più a lungo e meglio di ogni generazione precedente. Ma c’è qualcosa che ci sfugge e che ci si ritorce contro.
Si tratta di una sindrome trasversale che colpisce l’economia (dove stagnano gli investimenti), la demografia (con l’inverno demografico), la politica (che rincorre le urgenze quotidiane). Tanto che Bauman, nel suo ultimo libro, ha parlato di retrotopia: finita l’epoca delle utopie — capaci di proiettarci in un futuro fin troppo radioso — le nostre società sono attratte dal passato. Non però un passato inteso come recupero di un’origine ancora incompiuta, da cui derivare la spinta per guardare avanti. Piuttosto un passato mai esistito — una retrotopia appunto — a cui ci si appella per non affrontare i problemi attuali. Un passato, cioè, come regressione, come fuga dal futuro. Se questa sindrome tocca tutti i paesi occidentali, in Italia raggiunge i suoi livelli più preoccupanti a causa della convergenza di tre tendenze (tutte note ma raramente considerate insieme).
La prima è il trend demografico, già oggi insostenibile. Intendiamoci: fare tanti figli non è avere un’idea di futuro. È solo un fatto biologico. Ma avere il senso delle prossime generazioni — che include la responsabilità generativa — sì.la seconda é l’indebitamento. Anche qui occorre sgombrare il campo da un equivoco. Non è con il risparmio che si costruisce il futuro. Né tanto meno con l’austerity. Per investire é necessario un certo dispendio, la disponibilità a correre rischi. Ci si deve indebitare. Ma il problema sono le
enormi risorse finanziarie bruciate per alimentare la speculazione, i consumi privati, il consenso politico (attraverso la spesa pubblica). Scaricando l’onere sulle future generazioni.la terza tendenza è l’istruzione. Anche qui tanta confusione: non è certo un pezzo di carta a fare la differenza. Ma senza investire nell’educazione non c’è partita. E l’italia è messa male: con indici di abbandono scolastico troppo alti e percentuali di laureati troppo basse. Risultato é che da noi la questione della disuguaglianza tende a sovrapporsi a quella generazionale: abbiamo pochi bambini di cui molti in povertà; la disoccupazione giovanile rimane sopra il 30%; i salari non bastano per fare una famiglia. Così molti ragazzi, soprattutto i più bravi, lasciano il paese.
Prospettiva
Con la caduta delle ideologie, fatichiamo a vedere un orizzonte
È questa mancanza di futuro che spiega il malcontento cupo in cui siamo immersi. Che nemmeno l’aumento del Pil riesce a cambiare.il problema è che non sapendo più pensare il futuro, non riusciamo più a sprigionare quelle energie vitali che fanno lo sviluppo.su questa mancanza di prospettiva cade anche il nesso Italia/europa. Per molti la UE è una costruzione senza anima, l’ennesimo teatrino di gruppi di potere contrapposti, lontanissima dalla vita e dalle sue sfide.il clima della campagna elettorale è pervaso da questa sindrome. Nel momento della sua ascesa, Renzi aveva acceso la speranza che qualcosa potesse davvero cambiare. E la disillusione che la sua caduta ha prodotto è all’origine di quel rimbalzo di cui siamo oggi spettatori.
Occorre allora convincersi: da queste secche, l’italia può uscire solo tornando ai fondamentali.la via è indicata dagli obiettivi Onu 2030. Il futuro a cui tendere è quello di una crescita sostenibile. Cioè di una crescita che impara a fare i conti con le proprie contraddizioni (ambientali, sociali, umane etc.) e che perciò si lascia alle spalle il mito della illimitatezza. Ciò significa rivedere l’individualizzazione radicale (di cui vanno pazze le élites cosmopolite contemporanee) il cui orizzonte non può che restringersi sulla propria personale esistenza.
Diciamolo chiaramente: abbiamo bisogno di un’idea più relazionale della nostra individualità, riconoscendo che la realtà non coincide con noi stessi, che c’è qualcosa d’altro oltre il nostro Io, che nessuno si salva da solo e che, per quanto potente, la tecnica da sola non basta.insomma, oggi come ieri, un’idea di futuro passa per una nuova idea di libertà. È questa la posta in gioco della transizione in corso. In Italia come in Europa. O si riuscirà ad andare avanti, ricostruendo il nesso tra economia e democrazia, o si tornerà indietro. Le scorciatoie possono anche far vincere le elezioni. Ma spesso sono il modo per finire nel burrone.