Nazareno choc, la minoranza attacca «Ora discutiamo della leadership»
Rosato ammette: il risultato è negativo. E Cuperlo: sconfitta una classe dirigente Damiano accusa il segretario: non si appelli alle primarie, era un’altra era geologica «Un giudizio più sul partito e chi lo guida che sul governo»
ROMA L’immagine di un Partito democratico scioccato, quasi rassegnato al big bang e destinato a spaccarsi nelle prossime ore tra i pretoriani del segretario e gli oppositori interni, si fa meno nitida pochi minuti prima delle 23, quando al Nazareno arriva a sorpresa Matteo Renzi. I fedelissimi, fino a quel momento rintanati ai piani alti della sede dem, sperano sia il segno che lo scenario per il partito del governo non è poi così fosco. E invece no, la botta di coraggio del leader non porta ai dem buone notizie, ma è anzi la conferma di una sconfitta netta.
È la notte più lunga di questo decennio di storia dem, scandita dall’altalena dei numeri. La sala stampa è affollata di giornalisti, cameramen e fotografi, ma i renziani si tengono alla larga. L’ordine di scuderia è non aprire bocca fino ai risultati definitivi. «I primi dati vanno presi con le pinze», prova a tranquillizzare i dem Lorenzo Guerini. Ed Ettore Rosato, il capogruppo che ha dato il suo nome al nuovo sistema elettorale, si augura che il boom dei cinquestelle e il flop del Pd vengano smentiti allo spuntar del sole: «Io non sono così pessimista». Ma appena inizia lo spoglio, dalla poltroncina di Porta a Porta lo stesso Rosato commenta i primi exit poll che danno il Pd tra il 20,5 e il 23,5 e muta di nuovo l’umore dei dem: «Se fosse il risultato finale sarebbe un risultato negativo, passeremmo all’opposizione».
Gli esponenti della minoranza, che da giorni avevano messo nel conto la sconfitta, ricordano il 40,8 delle Europee ed elencano ai giornalisti tutti gli errori del leader. Lo accusano di aver sbagliato le liste elettorali. Gli rimproverano di non aver lanciato la candidatura di Paolo Gentiloni per Palazzo Chigi. Giudicano un clamoroso passo falso l’aver introdotto nel rush finale della campagna elettorale la retorica della sconfitta, da «se perdo resto» a «se perdo vado all’opposizione». Gli addossano responsabilità anche per la scissione, che avrebbe contribuito al calo di votanti nell’emilia rossa e alla sconfitta in tanti collegi. E temono che, non essendo riuscito a cambiare verso all’italia, il segretario si metterà presto in testa di cambiare verso al Pd. Magari per costruire, dalla «ridotta» del Senato, un partito centrista di ispirazione macroniana. «Ha sbagliato a personalizzare, come sulle trivelle e sul referendum — è il giudizio severo di Michele Emiliano, che ora teme "la rovina" del Pd —. Ha sfidato l’elettorato antirenziano a dare una botta al partito per colpire lui». I numeri in Parlamento e in Direzione sono dalla parte del leader, eppure la resa dei conti sembra inevitabile. Forti dell’asse con Romano Prodi, Walter Veltroni e gli altri ministri e padri nobili che si sono avvicinati a Gentiloni per allontanarsi da Renzi, Orlando ed Emiliano chiederanno una svolta al vertice del Pd. Se non l’immediato passo indietro del leader, la divisione dei ruoli tra segretario e candidato premier.
«Dobbiamo cambiare lo statuto perché due lavori in uno non si possono fare — attacca Cesare Damiano —. E questa volta a Renzi non basterà appellarsi alle primarie, perché alla luce di questo risultato traumatico appartengono a un’altra era geologica. Qualunque sia l’esito definitivo del voto bisognerà aprire una discussione molto seria». Va ancora oltre Gianni Cuperlo, che ha rinunciato a correre in un collegio a rischio ma ha fatto la sua parte in campagna elettorale. «Un risultato così severo non interroga solo una leadership, ma una intera classe dirigente e di governo», invoca una svolta profonda l’ex presidente del partito. Preoccupazione e timori per il «dopo» serpeggiano anche tra i ministri uscenti. Ma Dario Franceschini sceglie la cautela ed evita di sbilanciarsi sui primi dati: «Ci vorranno ore perché si sappia qualcosa di vero». d La sinistra d I partiti
Va male ovunque… A quanto pare l’occidente non ritiene più idonei i valori della sinistra per la guida delle nazioni
Tanti partiti hanno abbandonato la società per diventare gestione della Cosa pubblica e molti cittadini non si sentono rappresentati
Luciano Violante è testimone diretto di ciò che è stata la sinistra da quasi 40 anni, da quella sua prima elezione come deputato del Pci, nel 1979. E oggi assiste a quello che dai primi exit poll appare il tracollo del Pd.
«Era prevedibile. Penso che, come è accaduto per il referendum costituzionale, il giudizio negativo degli elettori non abbia riguardato tanto il governo, quanto il partito e il suo dirigente superiore».
Renzi è il responsabile del disastro?
«Non si può prescindere dalle responsabilità di chi dirige. Però una caduta così grave non si può risolvere con una vendetta».
Renzi non si deve dimettere?
«Chi ha diretto sinora deve fare un’analisi accurata, disegnare una strategia e proporre un cambiamento. Poi si deciderà se e come cambiare il gruppo dirigente. Ma bisogna agire rapidamente, e con senso di responsabilità».
Diceva che è stato penalizzato più il Pd che non il governo. Eppure la maggioranza degli italiani ha votato per un cambio di governo.
«I sondaggi hanno dato un gradimento alto per Gentiloni anche quando segnalavano la curva in discesa per il Pd».
Ma il centrosinistra nel suo insieme è andato male.
«Va male anche in Germania, Francia, Olanda, Austria, Stati Uniti… A quanto pare l’occidente non ritiene più idonei i valori della sinistra per la guida delle nazioni».
Per quale motivo?
«Perché c’è stato uno scivolamento verso il politicamente corretto, abbandonando l’etica dell’uguaglianza».
Vede una sinistra scollegata dalla realtà?
«In Italia molti partiti hanno abbandonato la società per diventare prevalentemente gestione della Cosa pubblica. Anche l’affluenza dimostra che molti cittadini non si sentono rappresentati».
Qualcuno i voti li ha presi.
«Certo e bisogna prenderne responsabilmente atto. Ma questo non scioglie il rebus del governo».
Infatti: che cosa succederà?
«Bisogna vedere la reale attribuzione dei seggi e le conseguenti maggioranze. Poi tutto starà alle decisioni del presidente della Repubblica e della classe politica».
Le sembra credibile un rapido ritorno al voto?
«Non penso che in Parlamento prevarrebbe questa idea».