La grande bellezza diverte ma non vince
La grande bellezza non se la passa bene, almeno dalle parti del calcio italiano. In una settimana, gli spottoni del made in Italy migliore sono miseramente saltati. Napoli, Lazio, Atalanta: nel giro di pochi giorni lavorativi, il bilancio della ditta Bellezza vede Napoli e Atalanta fuori dall’europa, Atalanta e Lazio fuori dalla Coppa Italia (il Napoli pure, prima ancora), Lazio e Napoli battuti nelle sfidissime del campionato con Juve e Roma. Non è il caso di stare qui a fare le pulci sui singoli risultati: resta la musata clamorosa di un sistema. Non può essere una coincidenza. Sappiamo benissimo che non lo è. Si tratta di una questione ideale e filosofica, se vogliamo sfiorare il ridicolo depredando questi termini alle faccende serie: riemerge il dubbio antico su quanto convenga e quanto costi giocare bene, divertirsi e divertire, creare emozione e spettacolo. La convinzione di questa corrente è marmorea: non si arriva al risultato senza il gioco. A memoria d’uomo, l’avanguardia di questo movimento resta la grande Olanda di Cruijff, impareggiabile macchina da gol, ma inesorabilmente passata alla storia con quello che anni dopo sarebbe diventato lo sprezzante timbro di Mourinho, zero tituli. C’è poco da discutere: la grande bellezza paga la vista, ma vincono gli altri. I brutti e cattivi. Messo così, anche il crollo di Napoli, Lazio e Atalanta confermerebbe il fallimento di un sistema e dei suoi poetici valori. Sembrerebbe di dover portare i libri in tribunale. Fine dell’estetica a mani vuote, avanti con cinismo e concretezza. Ma la tentazione della grande bellezza è troppo forte, perché si possa pensare di resisterle tanto facilmente. Persino il successo può venire a noia: la bellezza, mai.