«Insoddisfatti del nostro mondo Nei miei testi ne cerco un altro»
David Byrne torna con un album solista dopo 14 anni di collaborazioni
In un momento di transizione e di turbolenza come quello che stiamo attraversando, qual è il compito della musica? Svegliare le coscienze con la protesta come negli anni ‘60 e ‘70? Regalare una via di fuga leggera e un momento di disimpegno? David Byrne, ex leader dei Talking Heads e cervello pensante del rock, propone un’altra soluzione. Fare domande. Lo fa con American Utopia, nuovo album solista che esce venerdì e arriva, dopo le collaborazioni con St. Vincent e Brian Eno e un paio di musical, a 14 anni dal precedente lavoro. «Queste canzoni non descrivono un sistema immaginario, le utopie sono irrealizzabili per definizione, ma sono un tentativo di descrivere il mondo in cui viviamo. Siamo molti a non essere soddisfatti e a chiederci se debba essere così, se non esista qualcosa di meglio e di diverso. Io lo faccio con queste canzoni. Ma non ho risposte. Anzi non credo nelle grandi risposte ma nel processo che parte dall’analisi di quello che ci circonda e dal porsi quesiti».
L’assenza di soluzioni non deve portarci al pessimismo assoluto. «Rabbia e tensioni sono ovunque, in America e in Europa. Vengono dalla paura e dalla mancanza di speranza.
Ma c’è dell’ottimismo che può aiutarci ad andare oltre». Da un paio d’anni Byrne sta lavorando a un progetto, Reasons to be Cheerful, un sito che raccoglie progetti scovati in giro per il mondo che posso migliorare la vita delle nostre comunità: il bike sharing partito da Parigi, la sperimentazione di ambulatori protetti per tossicodipendenti a Vancouver... «Sono soluzioni locali che possono essere clonate e diffuse altrove. Non
è qualcosa che arriva da un discorso dell’unione europea ma dal basso».
Nell’elenco virtuoso non c’è nulla di italiano. Ci sarà qualcosa prima dell’estate, quando passerà in concerto il 19 luglio a Ravenna, il 20 a Perugia e il 21 a Trieste? «Spero che qualcuno mi possa illustrare qualche progetto interessante, ma sto lavorando sul sistema educativo infantile di Reggio Emilia che poi è stato esportato in tutto il mondo». L’american utopia e non più l’american dream, il sogno americano. «Tocqueville diceva che puoi progredire economicamente e far star meglio la tua famiglia se lavori sodo. Era qualcosa alla portata di tutti, c’era un idea di uguaglianza dietro. L’idea utopistica invece include anche il fatto che la gente sia protetta dalla legge e possa far sentire la propia voce. E questa idea, non di recente, è fallita. Ormai tutto si misura solo con il Pil e con l’economia e non su aspetti qualitativi. L’america non è più una democrazia perché le leggi, vedi quella sulle armi che la maggioranza vorrebbe, dipendono dagli interessi di pochi».
I testi dell’album sono spesso oscuri e poetici. Bullet (pallottola) è quindi legata al dibattito sulle armi o agli abusi dei poliziotti? «Quando l’ho scritta no, ma sembra profetica. Quel testo è semplicemente un gioco letterario che racconta della morte di una persona dal punto di vista della pallottola». Gasoline and Dirty Sheets è la più diretta. «Mi sono immaginato un campo rifugiati. Lì dentro ci sono persone che nel loro Paese sono ingegneri, medici o professori ma in quella situazione non sono nulla».
Ottimista
Il rocker: «Tensioni e rabbia sono ovunque, ma l’ottimismo ci aiuta ad andare oltre»