Calamari, pasticcini e risotto A tavola con papa Francesco
Nel libro di Roberto Alborghetti il legame di Bergoglio con il cibo: gli studi in tecnica alimentare e il «buon pranzo» dopo l’angelus
indiani, troppo piccanti, curry ovunque».
E così alla cena del 23 marzo, in cui si berranno vini scelti da «ZONIN1821» abbinati ai piatti, Ritu Dalmia proporrà, come antipasto, «Aloo katlanghi», cioè patate ripiene di primo sale, melograno e menta. A seguire «Katchori di zucca», una ricetta tipica di Calcutta, città di origine di Ritu, dove viene preparata nelle occasioni speciali. Poi «Khichdi con chaukha e papad», nominato piatto nazionale indiano e super food. «In origine era cibo per i poveri, preparato con riso e lenticchie, capace di fornire a chiunque tutti i nutrienti utili senza spendere per acquistare la carne — racconta Ritu —. Si mangia in tutta l’india, personalizzato di regione in regione. Nelle famiglie ricche del Mughal, lo zafferano veniva usato per colorarlo, mentre i più poveri usavano la curcuma, rendendolo più salutare e delizioso». Altri ancora mangiano il «Khichdi» con peperoncino verde e pezzetti di cipolla cruda, capaci di ridurre il senso della fame. Come dessert, invece, sarà servito il «Mango Shrikhand», preparato con crema di yogurt, zucchero, polvere di cardamomo e zafferano. Dolce popolarissimo nell’india occidentale. Alla cena, inoltre, ci sarà una degustazione di olio extravergine «Pietro Coricelli» con il pane tipico indiano. Mentre «Ferrero Rocher» omaggerà gli ospiti con il Cubo Rocher che contiene sei cioccolatini. L’evento La cena
● di inaugurazione di Cibo a regola d’arte 2018, a numero chiuso e organizzata in occasione del Cucina Blog Award, si terrà venerdì sera, 23 marzo, all’unicredit Pavilion di Milano I l giovane «Jorgito», così lo chiamavano da ragazzo, cucinava per la famiglia, sperimentando ricette e azzardando portate. Amava farlo e gli riusciva bene, racconta la sorella minore Maria Elena. «Fa dei calamari da urlo», dice. E gli piace molto il risotto. Piatto quest’ultimo legato alla terra d’origine della sua famiglia prima di emigrare in Argentina, il Piemonte, dove i Bergoglio avevano coltivato uve di Barbera d’asti e del Monferrato e gestito una caffetteria e una pasticceria. A sedici anni, nel 1952, al momento della scuola superiore questa passione lo spinse a frequentare il corso di chimica dell’alimentazione all’istituto industriale Yrigoyen di Buenos Aires, nei cui laboratori, fra stufe, alambicchi e piatti in vetroceramica, studiò le reazioni chimiche per la trasformazione delle molecole degli alimenti nei migliori sapori per il palato. E trovò anche lavoro al centro di ricerca Hickethier e Bachmann, specializzato nelle analisi delle sostanze grasse delle acque e dei prodotti alimentari. Questo prima che la vocazione lo portasse a rivelare ai propri genitori, davanti a un caffè italiano, tra praline e alfajores, i tipici dolci argentini, di volersi fare prete. Iniziando quel percorso che l’avrebbe portato a diventare prima Arcivescovo di Buenos Aires, poi Cardinale e infine Pontefice. E pensare, come ha rivelato una domenica di febbraio dello scorso anno, rispondendo alla domanda di un bambino in una parrocchia romana, che da piccolo avrebbe voluto fare il macellaio. Lavoro del quale restava affascinato ogni volta che da ragazzo andava al mercato con la nonna.
È una storia in gran parte sconosciuta quella raccontata dal giornalista Roberto Alborghetti in A tavola con papa Francesco, edito da Mondadori Electa (in libreria dal 13 marzo). Attraverso documenti editi e inediti, ricette, interviste e testimonianze, il volume indaga il rapporto tra Bergoglio e il cibo, la sua passione per la buona cucina, e il significato che ancora oggi riveste per lui l’importanza di un’alimentazione adeguata, di una distribuzione alimentare accessibile anche ai meno fortunati. «Tutto ciò è tangibile nel valore del pasto come simbolo massimo di condivisione, espresso dal Papa ogni domenica con quel suo augurio rivoluzionario alle famiglie in piazza San Pietro — spiega Alborghetti —: “Buon pranzo!”. Per dire che il giorno di festa sia vissuto insieme, santificato nell’incontro tra genitori e figli, familiari, amici, ma anche estranei e persone in difficoltà. Perché per Francesco la tavola è luogo di ascolto e affetto, attenzione, sostegno e dolcezza».
Nelle parole di Francesco ancora oggi ritornano elementi legati al cibo e alla sua infanzia. Si trasformano in parabole. «Come i biscotti della nonna» è il titolo dell’omelia che ha pronunciato il 14 ottobre di due anni fa alla messa mattutina in Casa Santa Marta, dove risiede (e a cena si mangia dopo aver fatto la fila come in qualsiasi mensa, col vassoio in mano), nella quale ha ricordato gli anni della sua infanzia passata con nonna Rosa, che tanta parte ha avuto nel formarlo umanamente e spiritualmente. Quei biscotti di cui parla, sinonimo di amore familiare e cura, non erano altro che busie, ossia «bugie». Le classiche astigiane, che la donna, originaria dell’alta Langa, preparava per i nipoti. Ma Francesco racconta spesso anche la sacralità delle domeniche della sua infanzia: quando la messa era seguita da lunghissimi pranzi in famiglia fino al pomeriggio tardi, con cinque o sei, anche sette portate. In cui la tavola diventava un momento di unione.
Di preparare e di amare il cibo Francesco non ha mai smesso. Cucinava in seminario per i compagni di noviziato, lo faceva per i suoi studenti da rettore del collegio gesuita di San Miguel (fra i suoi piatti? Il maialino ripieno), e ancora da Arcivescovo. «Pare - racconta Alborghetti — fosse impareggiabile nel cucinare l’asado, il tipico arrosto argentino». Mentre quando il tempo per i pasti quotidiani era poco, i pranzi preferiti di Francesco erano rappresentati da tramezzini al prosciutto o empanadas, i caratteristici fagottini con la carne, il cacio, o altre faciture, tipici del Paese latino (come il suo amato mate).
Ma l’alimento che Francesco colloca al centro di ogni suo discorso sul cibo è il pane. «Per il pontefice “preso quasi alla fine del mondo”, è la raffigurazione universale del cibo — spiega l’autore —, il valore supremo da condividere con un’umanità che ancora fatica a sfamarsi e nutrirsi. Nei suoi discorsi è sempre insito un messaggio contro lo spreco, il superfluo e la necessità di ripensare il sistema di produzione e distribuzione degli alimenti per renderlo più equo». Col cibo «non si scherza», ripete spesso Bergoglio. E quest’idea la si esplica anche in piccoli gesti: durante una delle sue visite alle cuoche della Casa di Santa Marta, si raccomandò con loro di non buttare l’acqua della cicoria. «Io la bevo volentieri», disse il Papa. «Allo stesso modo Bergoglio ha promosso una gestione razionale e accorta degli alimenti che arrivano sulle tavole vaticane, che provengono tutti da fattorie pontificie etiche e sostenibili. E, per primo, ha aperto alle persone in difficoltà gli spazi pontifici, accogliendole alla sua mensa. Un’azione potente, come per dire che il Vangelo vissuto e l’essere Chiesa si fondano anche sul gesto dello spezzare e del condividere il pane con il povero e con chi ha fame».
La famiglia
In Piemonte, prima di decidere di emigrare in Argentina, gestiva una pasticceria
@gabriprinc