Dazi Usa, scontro con la Ue
Macron tenta la mediazione con il presidente americano. I rischi per l’azienda Italia Bruxelles chiede l’esenzione: siamo alleati. Trump fa muro: non mi fermo qui
Si accende lo scontro Washington-bruxelles sui dazi. Trump attacca con un tweet: prima abbassate le tariffe voi, altrimenti noi tasseremo le auto. Ma intanto l’unione Europea chiede di essere esentata: noi siamo alleati degli americani. Il presidente francese Macron cerca la mediazione.
BRUXELLES Ha avuto esito negativo il primo tentativo dell’unione europea di essere esentata dai dazi protezionistici sull’acciaio e sull’alluminio annunciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L’incontro a Bruxelles tra la commissaria Ue per il Commercio, la svedese Cecilia Malmström, e il rappresentante Usa per lo stesso settore, Robert Lighthizer, si è concluso con un nulla di fatto.
«Non abbiamo ottenuto un chiarimento immediato sulla procedura per essere esentati e le discussioni dovranno proseguire la settimana prossima», ha commentato ieri pomeriggio Malmström al termine dei colloqui con Lighthizer. La commissaria svedese ha ribadito la posizione dell’europa, che ricorda di essere «un alleato e partner commerciale degli Stati Uniti e per questo deve essere esclusa dalle misure annunciate» dalla Casa Bianca, che sono fissate al 25% per l’acciaio e al 10% per l’alluminio. In pratica a Bruxelles chiedono la stessa concessione promessa da Trump ai due partner commerciali confinanti Canada e Messico. Il rappresentante Usa per il Commercio non ha però accolto la richiesta europea. Dalle indiscrezioni trapelate dalla riunione, gli Stati Uniti non avrebbero manifestato alcuna apertura concreta. Lo stesso sarebbe avvenuto nei confronti del ministro del Commercio giapponese Hiroshige Seko, che era invitato alla riunione a Bruxelles e ha assunto una posizione simile a quella europea nei confronti di Washington. Il Giappone, in quanto principale alleato degli Stati Uniti in Asia, ha respinto la giustificazione Usa dei dazi collegati a esigenze di sicurezza nazionale.
Nel 2017 l’export dell’europa verso gli Stati Uniti è stato stimato in 5,3 miliardi di euro per l’acciaio e in 1,1 miliardi per l’alluminio. Malmström e Seko hanno espresso «forte preoccupazione» al loro interlocutore Usa soprattutto perché i dazi di Trump aprono il rischio di una guerra commerciale di Ue e Giappone contro Washington. La Commissione europea ha già preparato una lista di prodotti Usa da esportazione (dai jeans al burro di arachidi e fino alle moto di grossa cilindrata) da tassare o sottoporre a quote e altre restrizioni — di fatto in modo ritorsivo —, qualora la Casa Bianca non esentasse tutti i 28 Paesi Ue dalle tariffe protezionistiche annunciate (e che dovrebbero entrare in vigore in un paio di settimane). Il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto sapere di aver discusso con Trump — venerdì scorso in una telefonata — di «strade alternative ai dazi» per risolvere le preoccupazioni Usa sull’avanzata dell’export di acciaio a basso costo della Cina sostenuto con sussidi statali. Macron ha anche detto chiaramente al presidente Usa che «l’europa risponderà in modo chiaro e proporzionato contro ogni pratica infondata e contraria alle regole del commercio mondiale». Ancora più dura appare la posizione della Germania, che è uno dei principali esportatori mondiali e intende considerare il ricorso all’organizzazione mondiale del commercio (Wto). Ma Trump ha ribadito che i dazi sono necessari.
Le associazioni europee dei produttori di acciaio e alluminio hanno anticipato che un mancato ritiro dei dazi Usa potrebbe costare migliaia di posti di lavoro nel settore. Anche per questo gli interventi ritorsivi dell’ue intenderebbero colpire prodotti di Stati Usa con in arrivo le elezioni di medio termine, in modo da aumentare la pressione politica sulla Casa Bianca. Trump ha però ribadito al premier giapponese Shinzo Abe che il disavanzo commerciale Usa «da 100 miliardi di dollari non è giusto, né sostenibile». Alla Germania e ad altri partner europei nella Nato ha contestato il mancato aumento delle spese militari.