«Mi fido di Kim» Ma gli scettici: il vertice salterà
Prove di dialogo. Il presidente americano Donald Trump scommette su Kim Jong-un. «Mi fido di lui», dice. Ma anche dopo la proposta di un incontro arrivata per lettera dal dittatore della Corea del Nord, i consiglieri della Casa Bianca restano scettici: non si farà.
La scommessa di Donald Trump, lo scetticismo della Casa Bianca. Il giorno dopo l’annuncio del possibile incontro con Kim Jong-un, il leader americano riporta su Twitter le reazioni di Cina e Giappone: «Ho parlato a lungo con il presidente Xi Jinping che mi ha detto di apprezzare i nostri sforzi per risolvere il problema diplomaticamente, piuttosto che andare avanti con alternative infauste. La Cina continua ad aiutarci». E ancora: «Il primo ministro Abe è molto entusiasta per i colloqui con la Corea del Nord». La stampa cinese ha dato rilievo alla notizia, mettendo in luce il «ruolo decisivo» del governo di Pechino, che da mesi spinge per negoziati diretti tra il regime di Pyongyang e gli Usa. L’amministrazione di Washington, invece, sembra ancora disorientata. La portavoce Sarah Sanders, nel briefing quotidiano con i giornalisti, ha messo in risalto soprattutto i pre requisiti necessari perché si arrivi davvero al summit entro maggio: «Questo incontro non ci sarà senza azioni concrete che siano coerenti con le promesse fatte dalla Corea del Nord». Una frase raggelante, tanto che nel pomeriggio Sanders è stata costretta a diffondere una correzione: «La Casa Bianca non ha posto alcuna ulteriore condizione all’incontro». Il New York Times, in particolare, ha sondato gli umori che circondano lo Studio Ovale, concludendo: «Secondo alcuni consiglieri le possibilità che il vertice si tenga davvero oggi sono inferiori al 50%». Hillary Clinton, intervistata dal giornale olandese Algemeen Dagblad sostiene che l’amministrazione Trump «non capisce il pericolo di discutere con Kim Jong-un; se vuoi parlare con lui hai bisogno di diplomatici di esperienza, di persone che abbiano familiarità con il dossier». In sostanza il partito del dubbio ha due argomenti. Primo: Trump e i suoi non sono pronti per questo negoziato. Secondo: gli Stati Uniti si stanno fidando troppo del dittatore nordcoreano. Curiosamente sono obiezioni molto simili a quelle che venivano opposte a Obama quando decise di aprire prima all’iran e poi a Cuba. Nessuno dei critici, però, sta indicando un’alternativa. E lo scopo delle sanzioni, approvate all’unanimità dall’onu, era proprio quello di costringere Kim a fare un passo indietro. Naturalmente le difficoltà non mancano. A cominciare dalla sede in cui tenere il summit. Ma Trump, al di là di Cina e Giappone, può contare sul sostegno pieno del presidente sudcoreano Moon Jae-in, un politico che parla la stessa lingua di Kim e che ha dimostrato di avere una strategia diplomatica molto efficace.