Anticonformista per vocazione Amava spiazzare gli interlocutori
La mattina divoravo le sue corrispondenze da Mosca e, forte di quelle analisi, andavo dai colleghi della scuola di giornalismo a sostenere che il tempo del socialismo reale era scaduto. Era la fine degli anni Settanta. Trascorse quasi un decennio e una mattina di marzo del 1986 mi ritrovai fantozzianamente nella stanza del direttore, mandato dal capocronista di Milano Arnaldo Giuliani. Piero Ostellino mi fece sentire a casa con due parole: «Benvenuto nella famiglia del “Corriere”».
L’anticonformismo di Ostellino, il suo amore per la cultura alta si accompagnava a un tratto schietto, ironico, originale, che ti spiazzava e ti faceva sorridere. Per esempio quando nel lungo periodo da editorialista si presentava in via Solferino con il cagnone bianco e nero che affidava alle cure di un mite capo redattore, sovrastato da quel gigante che scodinzolava.
Ostellino concordava gli articoli, ritirava la corrispondenza e tornava a casa dopo aver elargito perle di saggezza al nuovo direttore, magari di cattivo umore per i guai che porta l’incarico: la sua teoria era che «è bello essere stato (non essere) direttore del “Corriere”». Che considerò sempre la sua seconda casa.
Lo chiamavo spesso da capo servizio della cultura o della pagina delle opinioni. Capitava che al telefono rispondessero la moglie Marisa, i figli Luca e Paola, cui era legatissimo. Poi arrivava lui e ti spiazzava con le sue idee sulla Costituzione (perché fondata sul lavoro e non sulla libertà?), sulla magistratura troppo politicizzata, ultimamente persino su Papa Francesco. A Piero Ostellino veniva naturale quel che ogni giornalista dovrebbe fare: affrontare la realtà controcorrente. Sapeva bene che il conformismo ha il fiato corto.
Penso che ciascuno di noi abbia il diritto di vivere come crede alla sola condizione di non arrecare danno, non impedire agli altri di fare altrettanto e di risponderne soltanto alla propria coscienza (26 febbraio 2011) Il nostro Stato, che fa confusione fra assistenza e previdenza, supplisce alle proprie carenze sociali e finanziarie con la redistribuzione della ricchezza che meglio sarebbe definire distruzione di ricchezza (19 agosto 2014)