Stile francese per Verdi
Il maestro milanese: sono un migrante della musica Daniele Rustioni, neodirettore dell’opéra di Lione: sì alle regie sperimentali che conquistano i giovani
«La mia casa? A Milano, la mia città. Ma ci sto venti giorni l’anno...» Tutti gli altri Daniele Rustioni, 34 anni, bacchetta giovane e in continua ascesa, è in giro per i principali podi del mondo. «Sono un migrante della musica ma con Verdi sottobraccio» sorride lui, che per il suo esordio da direttore permanente dell’opéra di Lione ha voluto rendere omaggio al più italiano dei compositori.
Verdi nume tutelare del Festival che inizia il 16 marzo?
«Una dopo l’altra dirigerò Macbeth, Don Carlos e Attila, tre profonde riflessioni sul potere. Che nel primo titolo rende pazzi gli uomini, nel secondo distrugge i loro sogni, nel terzo schiaccia i tiranni. Verdi è il nostro autore sommo, fa parte delle mie radici musicali, lascia una grande libertà all’interprete e quindi ogni volta è una sfida».
Un genio italiano ma anche un po’ francese...
«Don Carlos, nuovo allestimento a forte impronta erotica di Christoph Honoré, è nella versione originale di Parigi in cinque atti. Quasi cinque ore di musica pensata per i suoni morbidi del francese. Un Verdi che pare Debussy. E la prossima stagione altro connubio analogo con il Guillaume Tell di Rossini. Affiancato da due Verdi, Nabucco e Ernani».
Lione, seconda ribalta lirica della Francia dopo Parigi...
«La prima in fatto di sperimentazione. Un teatro boutique di dimensioni ideali. L’abilità del sovrintendente Serge Dorny è di affiancare grandi titoli, rarità e nuove creazioni. E proporre allestimenti audaci, ad alto rischio in qualsiasi teatro italiano, mentre a Lione hanno attratto un nuovo pubblico, tanti giovani».
La regia è oggi il nodo cruciale della lirica?
«Ci sono regie tradizionali che tradiscono il senso di un’opera e altre innovatrici che invece lo rispettano. Come quella di Ivo van Hove per il Macbeth lionese, che trasferisce l’azione nel mondo della finanza con tanto di ribellione degli Indignados. A me piace la regia che osa, ma nel rispetto di storia e partitura. Alla fine è solo questione di sensibilità e intelligenza. Detto ciò, certi allestimenti storici, penso a Zeffirelli, Strehler, Ronconi, dovrebbero venire riproposti regolarmente dai teatri istituzionali. Il confronto con le nuove letture si farebbe più interessante».
Il direttore d’orchestra e il regista spesso procedono su binari diversi?
«Che non si incontrano mai, se non al momento delle prove. Ed è troppo tardi. Ci si ritrova all’ultimo senza sapere nulla degli intenti reciproci e questo talora dà luogo a spettacoli schizofrenici. Qualche volta ho preferito lasciar perdere... Scegliere gli abbinamenti giusti è un compito delicato. Richiede grande sensibilità e conoscenza artistica da parte del sovrintendente».
Dal prossimo anno Lione collaborerà con il Festival di Aix-en-provence...
«Il direttore Pierre Audi è un grande regista, capace di una visione completa di uno spettacolo. La prima opera che porteremo sarà Tosca, nuovo allestimento di Honoré».
E in Italia?
«Purtroppo ci sarò sempre meno. Due concerti a Firenze, a maggio con la pianista Beatrice Rana, a giugno con mia moglie, la violinista Francesca Dego. A giugno sarò anche a Torino per Don Giovanni. Poi, fino al 2022 il mio calendario è sold out. Perché in Italia si programma all’ultimo minuto mentre all’estero lo si fa con largo anticipo».
Neanche alla Scala?
«Ho diretto cinque titoli. Ne sono fiero, ma quando Pereira mi ha offerto di tornare ho preferito dire no. Vorrei attendere una maggiore maturità musicale. La Scala per me è troppo importante. Ho cominciato lì da bambino come voce bianca, diretto da Muti. Mi ha insegnato a essere esigenti con se stessi».
Cosa ama oltre alla musica?
«Leggere. Ho appena finito Vita e destino di Grossman. E ho capito meglio Shostakovic».
A che punto sono le quote rosa della musica?
«Le donne in orchestra sono sempre di più, talvolta addirittura prevalgono. Molto meno quelle sul podio, che resta ancora un luogo maschile per eccellenza».
E le molestie nella lirica?
«Le porte sono fatte per essere chiuse o aperte. In teatro buona regola è tenerle sempre aperte.