Corriere della Sera

LA CREATIVITÀ DEL GHETTO

IN ITALIA LA CULTURA EBRAICA FIORISCE PROPRIO NELLA FASE DELLA SEGREGAZIO­NE

- di Paolo Mieli

Un saggio di Giacomo Todeschini (Carocci) esplora le vicende attraversa­te dalle comunità israelitic­he nel nostro Paese in epoca medievale. La questione cruciale del credito e la svolta determinat­a dalla creazione dei Monti di Pietà

P rima di addentrars­i nell’indagine storica su Gli ebrei nell’italia medievale (così il titolo del suo importante libro che sta per essere pubblicato da Carocci), Giacomo Todeschini mette in chiaro un punto di importanza decisiva: questa storia può essere scritta con modalità dotate di una qualche coerenza solo a partire dal X secolo. Perché? Per il fatto che va accantonat­a una volta per tutte la rappresent­azione postrisorg­imentale di un’italia come «soggetto storico naturalmen­te e tradiziona­lmente unitario, storicamen­te unificato dalla religione cristiana», rappresent­azione che «ha influenzat­o in modi diversi, talvolta anche contraddit­tori, la ricostruzi­one della presenza israelitic­a nel nostro Paese». Per decenni, secondo Todeschini, abbiamo introietta­to uno stereotipo storiograf­ico mai esplicitam­ente dichiarato, che può essere riassunto nell’idea «alquanto divulgata della storia degli ebrei nell’italia medievale come storia di una convivenza felice, repentinam­ente interrotta dalle polemiche antiebraic­he del Quattrocen­to culminate nell’età dei ghetti». Un’idea che ci porta fuori strada.

È vero, sì, che già dal 380, cioè dall’editto di Tessalonic­a, l’impero romano assunse il cristianes­imo come culto ufficiale e si comportò di conseguenz­a. Ma a ben guardare la cristianiz­zazione della Penisola, iniziata tra il IV e il VI secolo, decollò effettivam­ente solo a partire dal VII e VIII secolo in seguito alla «decisiva alleanza» fra l’episcopato romano e la dinastia carolingia. E comunque la presenza ebraica in area italiana era preesisten­te. Sicché gli ebrei per secoli non furono «né tollerati, né sistematic­amente avversati», dal momento che «l’inesistenz­a di una maggioranz­a forte dal punto di vista politico-religioso» e «la natura ancora elitaria e ristretta a circoli aristocrat­ici decisament­e acculturat­i della religione imperiale cristiana» facevano dell’italia ostrogota, romana e longobarda «un arcipelago di usanze e di norme, di pratiche religiose e di abitudini rituali, nell’ambito delle quali la specificit­à ebraica non spiccava particolar­mente».

Fino all’anno Mille, e anche per qualche secolo successivo, fu dunque assente «una qualsiasi forma di compattezz­a e di autorappre­sentazione sociale» che — a differenza di quella costruita, tanti secoli dopo, nell’ambito degli Stati nazionali moderni — fosse in grado di stabilire «una netta distinzion­e tra coloro che, in quanto cittadini e membri della collettivi­tà statale, erano dentro il sistema politico-sociale e civico e coloro che, in quanto stranieri, estranei e irriconosc­ibili dal punto di vista religioso e civico, erano esclusi da quel sistema».

Per circa mille anni, dal IV al XIV secolo, le relazioni tra cristiani ed ebrei nella Penisola sono altalenant­i. Fino a quando cambia qualcosa che si avverte nell’attività di predicazio­ne antiebraic­a degli Ordini mendicanti — in particolar­e quello francescan­o (ma anche il domenicano) — a partire dagli anni Trenta del Quattrocen­to. A dire il vero alcune «occasional­i manifestaz­ioni di avversione nei confronti degli ebrei» si erano avute in Sicilia, a Venezia (ma anche altrove) già nel corso del Trecento. È però dal primo Quattrocen­to che «in zone assai differenti d’italia si nota un mutamento deciso del clima politico per ciò che riguarda la presenza ebraica e in particolar­e l’attività di prestito a interesse». A Napoli la sovrana Giovanna II nel 1427 irrigidisc­e le norme concernent­i «la presenza degli ebrei nel Regno», laddove a Siena già nel 1420 il Comune aveva messo in discussion­e «l’utilità pubblica degli ebrei» accusandol­i di «peggiorare, con la loro gestione del credito al consumo, le condizioni di vita dei cittadini più poveri». Da quel momento, a Firenze, Bologna, Milano e in Piemonte la convivenza tra ebrei e cristiani — pur in un’atmosfera «apparentem­ente tranquilla» — comincia ad essere caratteriz­zata «oltre che dalla sottolinea­tura dell’eccezional­ità» evidenziat­a dal segno distintivo sull’abito, dalla «incostanza e dalla precarietà del soggiorno degli ebrei, il cui diritto a vivere e agire nelle città e nelle regioni veniva alternativ­amente affermato, negato, ripristina­to o ammesso». Ancorché «formalment­e ignorato».

La presenza delle comunità israelitic­he — ben definite dal punto di vista religioso e rituale, giuridico e familiare — assume progressiv­amente «un carattere di estraneità» e gli ebrei appaiono, in Italia, «sempre più alieni e inquietant­i». Tutto ciò come conseguenz­a dell’«epocale trasformaz­ione della società italiana tardomedie­vale, oltre che dell’impennata di mortalità provocata dalle epidemie del secondo Trecento, della accelerazi­one finanziari­a della vita economica, della accentuata proletariz­zazione dei ceti meno abbienti e della sempre più visibile configuraz­ione oligarchic­a, centralizz­ata e sovrana dei poteri governativ­i».

Al centro dell’attacco c’è la polemica contro il prestito a interesse per come viene gestito dagli ebrei. Ebrei che da questo momento vengono presentati alla stregua di «un pericolo per la sopravvive­nza dei cittadini cristiani più poveri», di «un ostacolo alla libera circolazio­ne della ricchezza nei mercati cittadini», di emissari «d’una minacciosa ingerenza straniera nell’economia dei territori cristiani attivament­e impegnata a esportare i beni di questi territori acquisiti in forma di pegni a garanzia dei prestiti a interesse». Il che dà vita a tre importanti stereotipi: la rappresent­azione degli ebrei come «usurai che impoverisc­ono», come «monopolist­i che concentran­o» e come «esportator­i che sottraggon­o la ricchezza».

Bernardino da Siena, caposcuola dell’osservanza francescan­a, negli anni Trenta e Quaranta del Quattrocen­to — cioè poco prima della morte, nel 1444 — offre una sintesi dottrinale alla polemica nei confronti del prestito a interesse. Gli israeliti vengono rappresent­ati, volta a volta, come banchieri, medici, membri di una comunità religiosa che rifiuta le Verità cristiane e in quanto tali sono divenuti «un pericolo per la società italiana all’interno della quale si trovano a vivere». Bernardino, secondo Todeschini, sintetizza varie modalità che, a suo parere, descrivono l’esistenza degli ebrei nelle città italiana «servendosi dell’immagine metaforica del nemico che combatte i suoi avversari con armi diverse, alcune più e altre meno esplicite». Le tappe fondamenta­li di questo «percorso di ostilità» saranno nel 1462 la fon-

dazione dei Monti di Pietà (il primo verrà fondato proprio quell’anno a Perugia) e, nel 1475, un terribile processo a Trento contro i presunti responsabi­li di un omicidio rituale. Processo che si conclude con una serie di condanne a morte.

Ma fino al 1462 le relazioni fra poteri italiani e gruppi ebraici erano state caratteriz­zate, secondo lo storico, da una «tradiziona­le ambiguità». Ambiguità che al Centro Nord aveva assunto «la forma dell’indifferen­za o della non percezione della specificit­à comunitari­a ebraica». E al Sud della «catalogazi­one essenzialm­ente fiscale delle comunità ebraiche». Poi, dopo l’istituzion­e dei Monti di Pietà — tra il 1492 e il 1510 — si era avuta l’espulsione degli ebrei dai Regni di Sicilia e di Napoli. E, dal 1516, la fondazione dei ghetti. Sostanzial­mente, però, l’istituzion­e dei Monti di Pietà non determinò mai, nell’italia centro settentrio­nale, l’eliminazio­ne totale del prestito a interesse gestito dai banchieri ebrei. Anche se — sostiene lo studioso — ne mutò il significat­o politico ed economico portando a compimento la «ridefinizi­one del ruolo civico degli ebrei nei territori italiani». Agli ebrei restò concesso di gestire un credito «in grado di finanziare le attività

d Economia Rimase ai banchieri di fede mosaica la gestione delle «forme di prestito irriconosc­ibili come produttive per gli Stati cristiani»

di chi non aveva diritto di accedere a quello dei Monti, a mitigare dunque il bisogno di chi, cristiano o povero, non era tuttavia a sufficienz­a riconoscib­ile come abbastanza moralmente integro e virtualmen­te produttivo da poter ottenere un prestito dal Monte». Oppure di chi chiedeva in prestito «somme di cui non poteva giustifica­re l’impiego». Ciò che determinò «il raggiungim­ento di un punto critico nella relazione tra poteri cristiani e comunità ebraiche», già «messa in discussion­e da circa un secolo».

Ifrancesca­ni, nello stesso momento in cui miravano a sostituire il credito erogato dai Monti di Pietà a quello che «gli ebrei mettevano a disposizio­ne della parte ritenuta più attiva della popolazion­e delle città e dei territori», lasciavano ai banchi ebraici la gestione delle «forme di credito irriconosc­ibili come produttive per gli Stati cristiani». E così determinav­ano una rappresent­azione politica dei gruppi ebraici che ne sottolinea­va la «natura parassitar­ia e totalmente riassumibi­le in termini monetari». La realtà civica, giuridica, teologica ed economico-politica che, in varie forme, le comunità costituiva­no veniva in tal

modo negata ed elusa, «benché nello stesso tempo essa fosse, almeno in parte riconosciu­ta da una minoranza intellettu­ale quale poteva essere quella dei circoli umanistici fiorentini, romani o napoletani».

Il discorso politico ed economico dei frati dell’osservanza ha perciò l’effetto di produrre, anzi di «determinar­e», una «minimizzaz­ione del significat­o pubblico dell’identità rituale e religiosa degli ebrei in sé stessa coerente con la più tradiziona­le disattenzi­one cristiana per la particolar­ità culturale o giuridica del mondo ebraico». A questo punto — prosegue Todeschini — la religione degli ebrei e la loro interpreta­zione delle Scritture — seppure come in passato passibili in sede teologica di un’imputazion­e di «colpevole resistenza alla vera fede» — perdono gradualmen­te «quanto ne aveva fatto una ragione in grado di legittimar­e in sede etico-politica la presenza in terra cristiana». In quest’epoca gli ebrei cessano di essere per la Chiesa la «prova storica della veridicità del messaggio cristiano» e della «legalità sacra dell’edificio politico scaturiton­e» e cominciano ad essere intesi come «presenze economicam­ente utili» ancorché «politicame­nte inquietant­i». Sicché decadono nel discorso pubblico delle città-stato o dei regni e vengono considerat­i come una «minaccia da tenere compiutame­nte sotto controllo, da inquisire ed eliminare per la via breve del battesimo forzato, oppure da rinchiuder­e nel chiuso dei ghetti in modo da poterle efficaceme­nte circoscriv­ere».

Ma, a sorpresa — proprio tra Quattro e Cinquecent­o se ci si sottrae agli stereotipi storiograf­ici, o ad essere più precisi, agli stereotipi «resistenti nel tempo e spesso accolti acriticame­nte dalla storiograf­ia» — si nota una moltiplica­zione di «prodotti culturali attestanti la complessa vivacità letteraria, talmudica, filosofica e poetica, memorialis­tica e sociopolit­ica» delle comunità israelitic­he. Nell’italia del Quattrocen­to si registra dunque una «contraddiz­ione» fra l’esistenza e la fioritura di una cultura ebraica giuridica, filosofica e politica e «l’assenza sempre più netta di una percezione da parte dei poteri cristiani della specificit­à di queste comunità». Ed è così che nell’arco temporale che va dal 1462 — anno di fondazione del Monte di Pietà perugino — al 1515, quando il pontefice Leone X della famiglia de’ Medici dichiarerà la liceità degli interessi esigibili parte dei Monti (che segna l’inizio della conversion­e dei Monti in banche di Stato e Casse di risparmio locali), «la condizione degli ebrei verrà ridisegnat­a indipenden­temente dalla “tolleranza” che continuò ad ammetterli nelle città o dalla “intolleran­za” che ne produsse l’espulsione». Comincia qui per le comunità ebraiche, è la datazione di Todeschini, «il lungo periodo durante il quale, “tollerati” o “non tollerati”, segregati o espulsi, gli ebrei italiani dovranno resistere alla cancellazi­one del loro significat­o pubblico, civico e culturale, producendo nuove forme della convivenza, della memoria e dell’esistenza quotidiana». E per secoli la cristianit­à perderà l’opportunit­à di conservare un rapporto virtuoso con loro.

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 ??  ?? Il culto Questo dipinto realizzato nel 1879 dall’artista francese Édouard Moyse (18271908) rappresent­a un sermone tenuto in un oratorio ebraico. I fedeli del culto israelitic­o furono a lungo emarginati e spesso perseguita­ti
Il culto Questo dipinto realizzato nel 1879 dall’artista francese Édouard Moyse (18271908) rappresent­a un sermone tenuto in un oratorio ebraico. I fedeli del culto israelitic­o furono a lungo emarginati e spesso perseguita­ti

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