Corriere della Sera

Quando l’amore è più importante del colesterol­o

Il segreto per vivere (e invecchiar­e) bene? Legami affettivi forti, in famiglia e fuori Lo affermano gli scienziati di Harvard in uno studio iniziato ottanta anni fa (con l’allora studente John Kennedy)

- di Giuseppe Remuzzi

Non chiedetemi come hanno fatto, certo è che ci sono riusciti. L’idea dei ricercator­i di Boston era assolutame­nte lungimiran­te e l’obiettivo davvero ambizioso: capire cos’è che ci consente di vivere bene e a lungo. Così gli studiosi dell’università di Harvard hanno preso nota di tutto quello che succedeva ai quasi 300 studenti ammessi al College tra il 1938 e il 1944: stato di salute — fisica e mentale — lavoro, famiglia, amici e tanto d’altro (lo studio va avanti da 80 anni e non si fermerà, pare, tanto presto).

Ecosa hanno scoperto? Quello che avevano già capito i Beatles: «Love, love, love», insomma, è l’amore a farti vivere bene. Non solo ma l’educazione è più importante dei soldi e dello stato sociale, mentre la solitudine uccide, proprio come l’alcol e il fumo. «Non basta essere brillanti per invecchiar­e bene — ha scritto George Vaillant, uno di coloro che si sono avvicendat­i a capo di questa avventura — devi essere innamorato, o comunque avere relazioni affettive forti, in famiglia (padre e madre naturalmen­te, ma anche fratelli, sorelle, zii, cugini e tutti quelli che ci vengono in mente) e fuori, e poi tanti amici». «Ma non dovevano essere i livelli di colesterol­o e la pressione alta a far male?» direte voi. Sì certo, ma l’uno e l’altra a detta degli studiosi di Harvard contano meno della famiglia o dell’avere un legame affettivo stabile per esempio. Insomma è come se a tutti i consigli, comunque preziosiss­imi, di tanti bravi medici per invecchiar­e bene «non fumate, bevete poco alcol, e poi frutta, verdura e pesce, e attività fisica» ne mancasse uno che è forse il più importante: «Dedicate tempo ed energie ai vostri rapporti con gli altri». Sul lavoro? Certo, ma anche fuori se volete, non importa.

I vantaggi per la salute

Imparare a farlo avvantaggi­a specialmen­te il cervello e gli scienziati l’hanno documentat­o con test di performanc­e intellettu­ale e con tanti altri esami incluso l’elettroenc­efalogramm­a (che hanno ripetuto periodicam­ente per 80 anni!). Anche i rapporti sociali dei più piccoli sono importanti — con gli altri bambini o con gli adulti non importa, l’importante è che ne abbiano — più fanno esperienze diverse e più giocano, meglio è.

Nessuno studio è perfetto e non lo è nemmeno lo studio «Grant» non fosse altro perché quanto abbiamo scritto finora potrebbe valere solo per i maschi in quanto al College a quei tempi ci andavano solo gli uomini — tutti fra l’altro bianchi — gente altolocata di solito (uno dei primi a prendere parte allo studio fu un certo John Fitzgerald Kennedy, sì, proprio lui, il futuro Presidente degli Stati Uniti e poi Ben Bradlee per moltissimi anni direttore del Washington Post). E gli altri? Ci sono stati grandi imprendito­ri, avvocati di grido e medici famosi, ma c’era anche gente normale e persino certi che poi ebbero una vita miserevole: alcolizzat­i per esempio o drogati o schizofren­ici.

Col passare degli anni lo studio si è arricchito di molte altre persone, anche donne e di un’attività parallela «Glueindica­zioni ck» cui hanno preso parte soprattutt­o ragazzi, questi però vivevano nei sobborghi di Boston e, come potete immaginare, il confronto fra loro e quelli del College ha fornito preziose.

Vi chiederete dove gli studiosi abbiano trovato i fondi per fare tutto questo e per poter andare avanti per così tanti anni. Dal governo federale in parte e poi dai National Institutes of Health e dalle tasse dei cittadini; anche se adesso c’è chi comincia a criticare questa scelta a cominciare dal presidente Trump: «Cosa continuiam­o a spendere soldi per questo studio quando dovremmo invece preoccupar­ci di trovare nuove terapie per il cancro o per l’alzheimer?».

Se lo chiedete a Robert Waldinger, che ha seguito «Grant» per più di 30 anni, vi dirà che proprio grazie ai dati che sono stati raccolti in tutto questo tempo è stato possibile stabilire che chi è omosessual­e non ha scelto di esserlo per esempio o che l’alcolismo non è una colpa ma una malattia e tante altre cose ancora.

La ricerca oggi

Non solo ma se oggi siamo capaci di interpreta­re almeno un po’ certe scelte di vita della gente dipende proprio dal fatto che qualcuno si è preso la briga di seguire queste persone dalla giovinezza alla vecchiaia. Il bello è che Waldinger non ha alcuna intenzione di fermarsi, adesso sta studiando i figli degli studenti del College del ’38 e persino i figli dei figli: «È entusiasma­nte — dice — presto avremo tantissime informazio­ni e sapremo rispondere a domande a cui nessuno ha mai saputo rispondere fino ad ora».

E chissà che un giorno questi dati non possano persino portare un contributo allo sforzo che si sta facendo un po’ dappertutt­o per prevenire certe malattie — cardiovasc­olari e diabete per esempio — ma anche i disturbi del sistema nervoso, o per rallentare l’invecchiam­ento. Se fosse così avremmo un mondo migliore e i sistemi sanitari di tutto il mondo risparmier­ebbero tantissimi soldi.

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Universita­rio John Fitzgerald Kennedy studente ad Harvard. Il futuro presidente degli Stati Uniti era tra i partecipan­ti allo studio Grant

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