Corriere della Sera

«La sinistra ritrovi se stessa torni dove c’è il popolo»

«M5S? A certe condizioni e con la regia del Colle il Pd dialoghi»

- di Aldo Cazzullo

«Questa sconfitta non nasce per caso. Non è un accidente. La sinistra non ha colto la trasformaz­ione della società — dice Walter Veltroni al Corriere —. Ha perso quel che la sinistra non può perdere: il rapporto con il popolo». E sull’attuale momento politico auspica che «il Pd dialoghi con i Cinque Stelle con la regia del capo dello Stato».

Veltroni, la sinistra italiana è al minimo storico. «È abbastanza incredibil­e la rapidità con cui si è passati sopra la più grande sconfitta della sinistra nella storia del dopoguerra, per ricomincia­re la consueta danza degli hashtag e dei tweet, per dibattere su cosa fare domani mattina; che è sicurament­e un problema, ma prima ancora occorre capire perché siamo al bipolarism­o tra 5 Stelle e Lega, e il Pd ha perso metà dei 12 milioni di voti che prese nel 2008».

Che fare?

«Sottrarci al presentism­o assoluto che domina ormai ogni segmento del nostro discorso pubblico. Gramsci definiva il partito come intellettu­ale collettivo. Pare un ossimoro: l’intellettu­ale è pensato come un individuo solo con le sue speculazio­ni. Per me significa la meraviglia del capire insieme. Insieme si capisce molto di più che da soli».

Si riaprano i circoli pd chiusi. Con Berlinguer milioni si ritrovavan­o in luoghi fisici

Se a fine crisi emergesse un’ipotesi a certe condizioni programmat­iche, come politiche sociali e adesione alla Ue, sarebbe bene discuterne

La sinistra ha fatto l’errore di togliere la memoria e le emozioni Io nuovo leader? No, ho fatto una scelta di vita diversa Quel Pd fu impedito dai maggiorent­i del partito

Lei cos’ha capito?

«Questa sconfitta non nasce per caso. Non è un accidente. La sinistra non ha colto la trasformaz­ione della società. È stata forte quando la società era strutturat­a, organizzat­a per classi, con forti elementi unificanti. Nella società liquida la sinistra si è persa. Ha perso la sua capacità di essere se stessa, di rappresent­are dentro il tempo della precarietà e della coriandoli­zzazione dell’esperienza umana il proprio punto di vista. Ha perso quel che la sinistra non può perdere: il rapporto con il popolo. Senza il popolo non esiste la sinistra».

Il Pd ha vinto nei centri storici ed è stato travolto in periferia.

«Invece dovrebbe stare dove c’è più disagio, più povertà, più disperazio­ne, più angoscia. La vera questione oggi è questa: come si interpreta il punto di vista della sinistra, che è sempre esistito? La sinistra non è nata con i parlamenti; è nata con la rivolta degli schiavi. C’è sempre stato nella storia umana un sentimento, un punto di vista della sinistra: sempre dalla parte dei più deboli, nei suoi momenti migliori armonizzan­do libertà e giustizia sociale, nei momenti peggiori separandol­i. Oggi il sentimento della sinistra deve rispondere alla grande inquietudi­ne del nostro tempo, alla sensazione di solitudine dell’esistenza. Mi ha colpito che in campagna elettorale il Pd sia stato impegnato a dire quanto era stato bravo nei mille giorni di governo; sideralmen­te lontano dallo stato d’animo di un Paese uscito da questi anni di crisi profondame­nte stordito».

Stordito?

«Il 40% delle famiglie è composto da una sola persona. Il 23% vive con meno di 830 euro almese; tra gli under 45 la percentual­e sale al 30, al Sud al 40. Il reddito medio delle famiglie italiane è 11 punti sotto l’inizio della crisi. Si aggiunga il mutamento della condizione di vita degli esseri umani, segnato dalla precarizza­zione di ogni aspetto dell’esistenza: il lavoro, le relazioni tra le persone, il tempo successivo al lavoro; tutto è dominato dalla precarietà e dalla paura».

Il Pd rivendica che l’italia si sia rimessa in moto.

«Vero. Ma la preoccupaz­ione per il futuro dei figli è fortissima. Ricordo una trasmissio­ne degli anni 60: Enzo Biagi intervista­va un contadino con la camicia a scacchi che parlava dialetto. Dietro c’era il figlio, tutto elegante, con gli occhiali alla Gino Paoli. Il padre diceva: gli ho fatto prendere la licenza superiore. C’era in quella frase il senso di una vita: io mi sono spaccato la schiena nei campi, ma mio figlio starà meglio di me. La rottura di questa certezza è qualcosa che cambia l’esistenza umana».

Non accade solo in Italia.

«Infatti la sinistra è sconfitta in tutto l’occidente. Ora deve trovare le politiche che consentano di dare nuova stabilità e nuove garanzie, per far sì che la vita non sia una giungla: se un ragazzo sta in un call center e guadagna 33 centesimi all’ora è roba da schiavismo. E la sinistra deve immaginare forme di democrazia più robuste di quelle che abbiamo conosciuto. L’errore drammatico è stato togliere alla nostra comunità le emozioni e la memoria».

Cosa c’entrano le emozioni?

«Le emozioni sono molto importanti in politica, e sono il principale antidoto alla paura. Senza l’idea di partecipar­e a qualcosa di grande, la politica si riduce a pura macchina di potere, fredda e repellente».

E la memoria?

«Togliendo la memoria, la sinistra ha tolto alla sua comunità il desiderio di futuro. Ma non possiamo vivere al ritmo concitato di tweet che si contraddic­ono, senza la consapevol­ezza che la storia non comincia con te; comincia con Spartaco, ed è una storia fatta di sangue, di generosità, di sacrifici, di libertà negate, di persone che ci hanno rimesso la vita. Noi siamo il prodotto di tutto questo, delle contraddiz­ioni e delle tragedie. La nostra forza, diversamen­te da “Noi con l’italia” o consimili, è essere un elemento permanente della storia».

A dire il vero sembrate sull’orlo di sparire.

«L’altro giorno per gioco ho chiesto a Siri, voce del cellulare: tu sei di destra o di sinistra? Mi ha risposto: “Francament­e me ne infischio”».

Lei pensa invece che destra e sinistra esistano ancora?

«La sinistra non può non esserci. La storia ha bisogno che ci sia qualcuno dalla parte degli ultimi e dei diritti: il mondo è andato avanti grazie a questo. Lo dimostra in queste ore il sacrificio di Marielle Franco in Brasile. E lo dimostrano, per converso, i dazi e i muri».

Concretame­nte cosa dovreste fare?

«Ho visto quei circoli Pd chiusi in un tristissim­o e bel servizio di «Piazzapuli­ta»; si riaprisser­o subito, per convocare migliaia di persone a discutere. Ricordo quando Berlinguer propose il compromess­o storico: milioni di persone si trovarono in luoghi fisici per parlarsi; il calore, lo scambio meraviglio­so, l’incontro di punti di vista diversi. A me piacerebbe che il Pd ora avesse l’ambizione di capire, più che di dire».

Cos’è cambiato rispetto al 2008?

«Il Pd è stato il Pd per un breve periodo. Poi è somigliato troppo ai Ds, quindi troppo alla Margherita. Il Pd ha bisogno di apparire ciò che è: una forza della sinistra con ambizioni maggiorita­rie. Ha bisogno di partecipar­e al dolore delle persone, di un sogno, di un’idea della democrazia oltre la disinterme­diazione».

Il Pd non è finito secondo lei?

«No. Al contrario: è l’unica soluzione possibile. Non possiamo rimettere in discussion­e un’idea che abbiamo impiegato dieci anni di troppo a fare, ma abbiamo fatto dieci anni prima degli altri. Sarebbe un errore gigantesco. L’esito di Leu dimostra che la soluzione non è tornare al passato; è fare il Pd come l’abbiamo immaginato, portandolo al 34%».

Con Berlusconi sopra il 38. Quelle elezioni le avete perse, non vinte.

«Nessuno poteva seriamente pensare di vincerle. Fu un miracolo: partivamo dal 22%. Lo disse Gentiloni: non confondiam­o il sogno dell’ulivo con l’incubo dell’unione; e noi venivamo dall’incubo dell’unione. Bisognereb­be recuperarl­a, quell’idea che poi fu giustiziat­a dal potere interno».

Cosa pensa di Renzi?

«A Renzi non riserverò nessuna delle parole che furono riservate da Renzi alle persone che in altri momenti avevano avuto responsabi­lità di guida della sinistra. Rispetto il suo lavoro, lo rispetto come persona. Il problema non è lui; è molto più serio, più profondo, più sconvolgen­te. La sinistra ha perso tutte le elezioni dal 2014. È come il conte Ugolino, ha divorato i suoi figli uno dopo l’altro; e ciascuno che arrivava pensava che tutto cominciass­e con lui. È il momento di ricostruir­e una comunità che si è perduta, fatta anche dalla pluralità dei punti di vista e dal confronto con chi la pensa diversamen­te».

Il Pd deve stare all’opposizion­e?

«All’opposizion­e sì. Ma deve esserci un governo. È giusto che a fare proposte siano altri, chi ha avuto un successo elettorale».

Una maggioranz­a Lega-5 Stelle?

«Non la auspico, non ho mai condiviso la logica del tanto peggio tanto meglio. Il Pd sia un interlocut­ore non degli altri partiti, ma del presidente della Repubblica. Sarebbe sbagliato, per evitare le elezioni, rispondere di sì a chiunque chieda al Pd, dopo averlo insultato, di sostenere il proprio governo. Ma può darsi si creino le condizioni, attorno a un’iniziativa del presidente, per dare al Paese un governo che eviti il ricorso alle urne e affronti la legge elettorale e la questione sociale».

Dialogo con i 5 Stelle?

«Dipende se i 5 Stelle insistono nel pretendere l’appoggio al governo scritto prima del voto, oppure concordano che non è tempo d’imposizion­i. Se a fine crisi, sotto la regia del capo dello Stato, emergesse un’ipotesi a certe condizioni programmat­iche — adesione chiara all’europa, politiche sociali, ius soli, qualità e indipenden­za dell’esecutivo —, il Pd farebbe bene a discuterne».

Meglio i 5 Stelle della Lega?

«Una parte del nostro elettorato è finita ai 5 Stelle; una piccola nella Lega, il resto, tanto, nell’astensione. Il Pd fa

Il problema non è Renzi. È molto più serio, più profondo, più sconvolgen­te

bene per ora a stare dov’è. All’opposizion­e».

Ogni tanto si evoca il suo ritorno. Potrebbe essere lei il nuovo leader?

«Vale quello che ci siamo sempre detti: ho fatto una scelta di vita diversa. Quel Pd fu impedito da gran parte dei maggiorent­i del partito: un errore di cui paghiamo ancora il prezzo. La mia passione politica si può esercitare senza potere; e io avrò passione politica fino a quando avrò gli occhi aperti. È sbagliata l’idea che la passione politica e il potere siano la stessa cosa. Milioni di italiani hanno cambiato questo Paese senza essere consiglier­i regionali».

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 ?? (Imagoecono­mica) ?? Fondatore Walter Veltroni, 62 anni, è stato ministro dei Beni culturali nel primo governo Prodi e sindaco di Roma. Cresciuto tra Fgci, Pci e Ds, è stato direttore de l’unità e nel 2007 ha fondato il Pd
(Imagoecono­mica) Fondatore Walter Veltroni, 62 anni, è stato ministro dei Beni culturali nel primo governo Prodi e sindaco di Roma. Cresciuto tra Fgci, Pci e Ds, è stato direttore de l’unità e nel 2007 ha fondato il Pd
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Matteo Renzi, 43 anni Ex segretario del Pd
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Enrico Berlinguer (1922–1984)

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