Corriere della Sera

Putinlandi­a

A Karabash si muore di inquinamen­to, ma «Zio Vlad» ha il massimo dei consensi. «Perché lui ci ha capiti»

- dal nostro inviato a Karabash (Russia) Francesco Battistini

Le colline nere le vedi subito, propilei di polvere sulla strada principale: neanche la neve e la propaganda riescono a coprirle. Scorie metalliche alte cinquanta metri, che brillano sinistre nell’ultimo sole d’inverno. Stanno lì dai tempi di Stalin e servono ai bambini per arrampicar­si, agli adulti per crepare. Chi nasce a Karabash sa già come si gioca con la morte: respirando biossido di zolfo e anidride solforosa, bevendo le acque rossastre e senza pesci dello Sjerebro, mangiando miele d’api malate e uova di galline tossiche e carni di maiali polverosi. Le ghiandole marce, i polmoni ingolfati, il sangue sballato.

Karabash è il buco nero della Russia, perché da un secolo s’estrae qualunque minerale — oro, argento, rame, zinco, uranio — e dalla Seconda guerra mondiale si produce qualunque veleno: il plutonio per la guerra fredda, le pipeline per il petrolio iraniano e il gas di Nord Stream, l’acciaio per le bombe in Siria. La città carrarmato, la chiamano i russi. L’onu certificò che questo era uno dei posti più inquinati del mondo e un astronauta lo confermò: se dallo spazio si vede una specie di cratere nucleare in mezzo agli Urali, è Karabash.

Le betulle sono nane e pure gli umani non crescono tanto. La mortalità infantile è sempre stata il doppio della media mondiale. La natalità, dimezzata. Il marito di Daria la biblioteca­ria lavora al kombinat dell’acciaio e dice che «non c’è protezione che aiuti, rincaso sempre con la faccia verde, da cinque anni ho eczemi dappertutt­o, tosse, gli occhi gialli». Tatiana Petrov è andata a studiare a Chelyabins­k, due ore di macchina, e torna a Karabash solo per il fidanzato: «Mio papà è nato e morto qui, ho sempre visto la neve grigia. Solo negli ultimi anni è di nuovo bianca, ma è polvere nascosta sotto il tappeto: finite le gelate, ricompaion­o le schifezze di sempre».

O Putin o morte? No: sia Putin che la morte. Avvelenati, non inveleniti, qui sono tutti con lui: 11mila abitanti e 66,7 per cento di putiniani alle ultime elezioni, dicono i sondaggi, con un probabilis­simo 75 a questo giro. «Ti mando a Karabash», è la minaccia che ogni capufficio russo fa al sottoposto ribelle. Difficile immaginare luogo tanto disgraziat­o. Capitale del carbone, fonderia di tutte le Russie. E non bastasse l’inquinamen­to, a pochi chilometri c’è l’impianto nucleare di Mayak e la flora bruciata dal più grave disastro della storia dopo Chernobyl e Fukushima. Da queste parti, anno 2013, è dove s’abbatté l’unico meteorite dell’ultimo secolo: venti metri di diametro, pesante come la Torre Eiffel, un’esplosione in cielo trenta volte quella di Hiroshima, 1.500 feriti.

Cancro&sfortuna. E allora perché stare con lo Zar? «Perché ci ha capiti — spiega Ludmila Biruyova, 71 anni, che vende immaginett­e sacre —. È stato l’unico ad ammettere che qui moriamo. E ha stanziato fondi, senza chiudere le fabbriche». Quindici anni fa, gli abitanti di Karabash scrissero una lettera aperta a Putin: o ci aiuti, o non ti votiamo. Zio Vlad a modo suo rispose: senza toccare gli impianti, ma facendo piovere soldi. Negli ultimi tempi, la storica fonderia della zona (la Coper, così potente da addobbare gli alberi di Natale di Karabash coi led del suo logo, invece che con le palline e i festoni) ha finanziato palasport, supermarke­t, teatri, cinema, asili, giardinett­i per bambini, s’è fatta ricevere all’onu, ha promosso premi per progetti sociali e filantropi­ci, ha perfino costruito una nuova cattedrale ortodossa… «Solo i nemici della Russia ci descrivono come un posto terribile — dà per sicuro il sindaco Oleg Budanov, 36 anni, il ritratto di Putin alle spalle —, le cose oggi vanno molto meglio. L’inquinamen­to di Karabash appartiene agli anni Novanta. Oggi, siamo più o meno come il resto della Russia. E abbiamo chiesto all’unesco di proclamarc­i parco ambientale mondiale». Vi hanno risposto? «Non ancora…». È un po’ come a Taranto con l’ilva, meglio morire col lavoro che vivere senza: la disoccupaz­ione è al 4 per cento, fra le più basse del Paese. «Lo stipendio è l’unica ragione che spinge

La neve grigia Le fonderie anneriscon­o il cielo, ma garantisco­no posti di lavoro L’oppositore: «Per lo stipendio la gente nega i problemi e vota Putin»

a sostenere Putin — dice Aleksey Tabalov, oppositore locale del partito di Navalny —. Quando Mosca provò a risanare davvero, qui la situazione migliorò. Ma la gente perse il posto. E così è meglio negare il problema, fare propaganda, costruire chiese e cinema. Se c’è un problema, troppe proteste, alla fine basta rimuovere i governator­i locali…».

Lo Zar è venuto in visita un paio di giorni: «Ma mentre in pubblico parlava con uno di noi ambientali­sti — racconta Boris Zolotarevs­ky, 20 anni —, di nascosto faceva arrestare tutti gli altri». E mentre prometteva meno veleni, avviava la costruzion­e d’una nuova fabbrica Coper a Tomino, che sta cinquanta chilometri più in là: «Il manager della società è un suo carissimo amico, e Putin non lo mollerà mai». Si picchia duro. E se serve, anche sotto la cintura: per convincere il mondo che Karabash non è più il buco nero, a far da testimonia­l hanno invitato Mike Tyson. «Bel posto», gli han fatto dire: «Ci aprirò una palestra.

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 ?? (foto di Pierpaolo Mittica) ?? Capitale del carbone Karabash è una delle città più inquinate del mondo. Da un secolo qui si estrae qualunque minerale: dal rame all’uranio
(foto di Pierpaolo Mittica) Capitale del carbone Karabash è una delle città più inquinate del mondo. Da un secolo qui si estrae qualunque minerale: dal rame all’uranio

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