I MALATI VOGLIONO CAPIRE I REFERTI
Fatto vero. Un paziente legge la Tac di controllo :«..non si osservano adenopatie (ghiandole), metastasi polmonari e noduli sospetti in altri organi», pensa che il «non» si riferisca solo alle ghiandole, non capisce che in realtà è tutto negativo. Si spaventa, pensa che la malattia sia ripresa e corre preoccupato dal medico che lo tranquillizza, spiegandogli che è tutto a posto. Situazioni di questo tipo non sono rare: il paziente ritira da solo gli esami, li legge, e fraintende . Il malato è un soggetto fragile, lo è di più se la malattia è grave, l’attesa dei responsi lo snerva, i continui controlli lo tormentano, fatica ad aspettare e l’ansia di una risposta, che potrebbe cambiargli la vita, altera la lucidità di comprensione. Meglio sarebbe che il risultato degli esami gli fosse consegnato e spiegato da un medico. E nel bene e nel male, illustrato con calma, con parole semplici, soprattutto non in «medichese», un insieme di paroloni tecnici che lo bloccano e gli impediscono di fare domande.
Molte ricerche indicano che la presenza del medico in questi casi è importante, può favorire la percezione di quanto scritto e di quanto sentito e c’è differenza tra quanto si dice e quanto viene ascoltato e tra quanto si ode e quanto infine si comprende. Figurarsi quando il malato viene lasciato solo a leggersi un referto radiografico o istologico. È vero, il sistema guarda poco a questi particolari ,vuole numeri, fatturati ,budget, tempi contingentati, vuole un medico che produca, attaccato al computer, che talvolta si «abbrutisce» al punto da scoppiare (burnout). Da una recente ricerca condotta negli Stati Uniti su 5 mila medici, più della metà «scoppia», cosa non bella visto che il malato lo vorrebbe comprimario nei momenti difficili come quelli sopraddetti. Bisognerebbe premiare quei medici che nonostante tutto si ritagliano degli spazi per poter spiegare. La medicina umana è fatta anche di queste piccole cose, che possono incidere favorevolmente nella vita della gente. Purtroppo oggi non c’è spazio per gli aspetti relazionali, e ne soffrono sia i medici sia i pazienti: i primi vorrebbero fare bene quello per cui hanno studiato, i secondi li vorrebbero come un riferimento anche per capire in che situazione sono. Due realtà in crisi sulla «barca» di un sistema sanitario che sta perdendo il senso del prendersi cura, in cui i paradigmi stanno cambiando e la macchina burocratico-organizzativa rischia di vincere.