Che cos’è la sindrome del QT lungo?
Un’ «onda anomala» nel battito del cuore provocata da diverse particolarità genetiche
Colpisce circa un neonato su 2.500, ha origine genetica e se ne conoscono più di 14 tipi, legati ad altrettante mutazioni. Stiamo parlando della sindrome del QT lungo, una malattia che può causare pericolose aritmie, talvolta fatali, come la morte improvvisa nei giovani atleti.
Che cosa comporta questa malattia?
«La sindrome del QT lungo causa un prolungamento dell’intervallo tra le onde Q e T dell’elettrocardiogramma. Più è lungo l’intervallo QT, maggiore è il rischio di pericolose aritmie. Ha origine genetica e di solito si manifesta la prima volta in età pediatrica, ma ci sono casi di persone che non hanno mai avuto disturbi evidenti. La gravità della malattia è, infatti, molto variabile e dipende, almeno in parte, dal tipo di gene o di mutazione implicati» spiega Silvia Priori, professore ordinario di cardiologia all’università di Pavia e direttore scientifico degli Istituti Scientifici Maugeri Irccs.
Quali sono i campanelli d’allarme?
«Svenimenti improvvisi durante l’attività fisica o associati a emozioni, non attribuibili ad altre cause (per esempio, pressione bassa, ipoglicemia), devono far nascere il sospetto, in particolare se si verificano in modo ripetuto in bambini o adolescenti. Lo stesso vale se ci sono episodi di palpitazioni e tachicardie, soprattutto in concomitanza in momenti di stress emotivo o addirittura quando si sente suonare una sveglia o un telefonino. In questi casi, occorre sottoporsi a un elettrocardiogramma, di cui il cardiologo misurerà l’intervallo QT. Se i sospetti vengono confermati, i pazienti vengono in genere indirizzati verso centri dove possano essere svolte indagini più approfondite, quali test da sforzo Holter (controllo elettrocardiografico su 24 ore, ndr) ed esami genetici necessari per individuare il difetto del Dna che causa la malattia».
Come si può curare?
«Il trattamento va ritagliato su misura, a seconda del difetto genetico e della durata dell’intervallo QT. La terapia iniziale è con farmaci beta-bloccanti (propranololo o nadololo), che riducono l’effetto pro-aritmico dello stress e dell’attività fisica. Grazie a questo trattamento, il rischio di decesso, che negli individui con sintomi non trattati con beta-bloccanti era di circa il 60% dopo 10 anni dal primo episodio aritmico, è ora sceso sotto il 2% l’anno. Nei casi più seri per la gravità degli episodi aritmici è necessario considerare l’impianto di un defibrillatore. Per chi soffre della sindrome QT lungo di tipo 3 c’è poi un’altra possibilità, un farmaco frutto di una ricerca del nostro gruppo».
Qual è il medicinale che si può usare per la sindrome del QT lungo di tipo 3?
«La mexiletina: un farmaco poco costoso e molto specifico in grado di ridurre l’intervallo QT. La scelta di usare la mexiletina nel QT lungo di tipo 3 (LQT3) nacque da un’ipotesi che testai in laboratorio nel 1996, in cellule esposte a una tossina estratta da un anemone marino che mima le conseguenze elettriche causate dalle mutazioni presenti nei pazienti. In questi soggetti con LQT3, a ogni battito entra nel cuore una quantità di sodio troppo alta, che è causa di episodi aritmici, spesso durante il sonno. Valutando la mexiletina su un gruppo di 34 pazienti, lo scorso anno abbiamo dimostrato che il farmaco, limitando l’entrata del sodio nelle cellule cardiache, non solo riduce l’intervallo QT, ma soprattutto diminuisce il rischio di aritmie dal 22 al 3%».