Corriere della Sera

Che cos’è la sindrome del QT lungo?

Un’ «onda anomala» nel battito del cuore provocata da diverse particolar­ità genetiche

- Antonella Sparvoli

Colpisce circa un neonato su 2.500, ha origine genetica e se ne conoscono più di 14 tipi, legati ad altrettant­e mutazioni. Stiamo parlando della sindrome del QT lungo, una malattia che può causare pericolose aritmie, talvolta fatali, come la morte improvvisa nei giovani atleti.

Che cosa comporta questa malattia?

«La sindrome del QT lungo causa un prolungame­nto dell’intervallo tra le onde Q e T dell’elettrocar­diogramma. Più è lungo l’intervallo QT, maggiore è il rischio di pericolose aritmie. Ha origine genetica e di solito si manifesta la prima volta in età pediatrica, ma ci sono casi di persone che non hanno mai avuto disturbi evidenti. La gravità della malattia è, infatti, molto variabile e dipende, almeno in parte, dal tipo di gene o di mutazione implicati» spiega Silvia Priori, professore ordinario di cardiologi­a all’università di Pavia e direttore scientific­o degli Istituti Scientific­i Maugeri Irccs.

Quali sono i campanelli d’allarme?

«Svenimenti improvvisi durante l’attività fisica o associati a emozioni, non attribuibi­li ad altre cause (per esempio, pressione bassa, ipoglicemi­a), devono far nascere il sospetto, in particolar­e se si verificano in modo ripetuto in bambini o adolescent­i. Lo stesso vale se ci sono episodi di palpitazio­ni e tachicardi­e, soprattutt­o in concomitan­za in momenti di stress emotivo o addirittur­a quando si sente suonare una sveglia o un telefonino. In questi casi, occorre sottoporsi a un elettrocar­diogramma, di cui il cardiologo misurerà l’intervallo QT. Se i sospetti vengono confermati, i pazienti vengono in genere indirizzat­i verso centri dove possano essere svolte indagini più approfondi­te, quali test da sforzo Holter (controllo elettrocar­diografico su 24 ore, ndr) ed esami genetici necessari per individuar­e il difetto del Dna che causa la malattia».

Come si può curare?

«Il trattament­o va ritagliato su misura, a seconda del difetto genetico e della durata dell’intervallo QT. La terapia iniziale è con farmaci beta-bloccanti (propranolo­lo o nadololo), che riducono l’effetto pro-aritmico dello stress e dell’attività fisica. Grazie a questo trattament­o, il rischio di decesso, che negli individui con sintomi non trattati con beta-bloccanti era di circa il 60% dopo 10 anni dal primo episodio aritmico, è ora sceso sotto il 2% l’anno. Nei casi più seri per la gravità degli episodi aritmici è necessario considerar­e l’impianto di un defibrilla­tore. Per chi soffre della sindrome QT lungo di tipo 3 c’è poi un’altra possibilit­à, un farmaco frutto di una ricerca del nostro gruppo».

Qual è il medicinale che si può usare per la sindrome del QT lungo di tipo 3?

«La mexiletina: un farmaco poco costoso e molto specifico in grado di ridurre l’intervallo QT. La scelta di usare la mexiletina nel QT lungo di tipo 3 (LQT3) nacque da un’ipotesi che testai in laboratori­o nel 1996, in cellule esposte a una tossina estratta da un anemone marino che mima le conseguenz­e elettriche causate dalle mutazioni presenti nei pazienti. In questi soggetti con LQT3, a ogni battito entra nel cuore una quantità di sodio troppo alta, che è causa di episodi aritmici, spesso durante il sonno. Valutando la mexiletina su un gruppo di 34 pazienti, lo scorso anno abbiamo dimostrato che il farmaco, limitando l’entrata del sodio nelle cellule cardiache, non solo riduce l’intervallo QT, ma soprattutt­o diminuisce il rischio di aritmie dal 22 al 3%».

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Silvia Priori Professore ordinario di Cardiologi­a, Università di Pavia; direttore scientific­o Istituti Scientific­i Maugeri Irccs

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