Per aiutare a gestire il tumore nasce il «coaching» medico
Anche in Italia esordisce il servizio, dedicato ai malati e ai loro parenti
La professione del coach è regolata dalla Legge n. 4/2013 e la formazione richiede un percorso in una delle scuole riconosciute dalle principali associazioni di settore e il superamento di un esame. L’espressione medical coaching si riferisce a un’attività formativa rivolta a medici e personale sanitario, mentre l’health coaching si occupa della parte relativa alla gestione della vita quotidiana del paziente e della famiglia. Dopo la prima esperienza al Policlinico di Milano, nel 2018 l’istituto Nazionale dei Tumori e l’ospedale San Raffaele hanno accolto il servizio per i pazienti oncoematologici cronici.
Le spese sono sostenute dalla Fondazione Quattropani (info sul sito: www.fondazio nequattropani. org).
Il numero delle diagnosi di tumori del sangue è destinato ad aumentare insieme all’invecchiamento generale della popolazione, perché linfomi, mielomi e leucemie sono in gran parte tipici dell’età che avanza.
I rapidi progressi della medicina consentono di parlare di guarigione in circa quattro pazienti su dieci e per molti altri malati è oggi possibile rendere croniche malattie che una volta erano considerate mortali.
Se questo è certamente un traguardo importante, convivere anche per molti anni con una patologia importante può essere difficile: per l’impatto delle terapie, per l’ansia dei controlli e di un possibile aggravarsi della situazione, per le conseguenze psico-fisiche che il paziente e i suoi familiari devono affrontare.«è a partire da queste premesse che è nato il primo servizio di medical coaching italiano — dice Giovanna Ferrante, presidente di Fondazione Renata Quattropani Onlus —. Un metodo innovativo dedicato ai pazienti onco-ematologici cronici e ai loro familiari o caregiver, studiato per aiutarli a gestire le difficoltà pratiche e relazionali dovute alla malattia cronica».
Circa 33 mila italiani ogni anno si ammalano di uno dei quasi cento sottotipi diversi di neoplasie ematologiche e in due terzi dei casi si tratta di persone che hanno un’età superiore ai 65 anni.
«Il confronto con la malattia, soprattutto se cronica, può determinare stati emozionali difficili da gestire per pazienti, familiari e istituzioni. Rabbia e difficoltà ad accettare il proprio stato sono solo alcune delle conseguenze emotive che si possono scatenare e che necessitano di aiuto per essere superate» spiega Agostino Cortelezzi,
dei malati di tumore mostra sintomi di disagio, 75%
tra questi «Fatigue»: Depressione stress fisico e psicologico. Rabbia È l’effetto collaterale Disturbi più diffuso d’ansia
Il consiglio direttore dell’ematologia all’irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, la prima realtà ospedaliera coinvolta dal progetto medical coaching nel 2017.
Il servizio di coaching per ciascun malato, prevede dodiun Disfunzioni fisiche, come effetto collaterale delle terapie Paura di recidive/ ricadute, legata soprattutto ai controlli ci incontri collettivi, di circa 90 minuti ciascuno, che si svolgono nell’arco di sei mesi. In alcuni è prevista anche la presenza dei familiari (o di chi li assiste, i caregiver, appunto) e, nei sei mesi successivi è poi possibile richiedere servizio individuale «su chiamata» quando se ne sente il bisogno.
«L’obiettivo è quello di fare in modo che malati e parenti riescano a trovare un equilibrio duraturo e sostenibile, per incrementare il loro benessere e aiutarli a riprendere hobby, vita sociale e attività quotidiane — sottolinea Giovanna Ferrante, che per anni ha assistito la madre, Renata Quattropani, affetta da leucemia linfatica cronica —. Il medical coach aiuta il paziente a rimettere al centro la vita, la sua specificità di persona, facendo passare in secondo piano lo status di malato».
Sebbene questo tipo di figura, in Italia sia ancora nuova, è ormai una professione consolidata in altre parti del mondo, dagli Stati Uniti a Israele.
«In pratica ci si concentra, per ogni paziente, sull’individuazione di obiettivi specifici e sulla definizione di un piano d’azione per raggiungerli — spiega Roberto Assente, medical coach attivo nell’iniziativa —. Si mettono al centro la singola persona (non la malattia) e le sue potenzialità. Si fanno emergere motivazioni, consapevolezza, capacità al fine di raggiungere i propri obiettivi».
«Non ci si occupa di aspetti medici e delle terapie — sottolinea Assente— ma di tutto ciò che ruota attorno alle problematiche quotidiane causate dalla malattia. Si parte dall’ascolto del paziente - che è fondamentale perché egli stesso possa comprendere e chiarire i propri obiettivi - per aiutare le persone ad aderire meglio alle cure, superare ostacoli e convinzioni limitanti, e per favorire quell’empowerment del malato, che lo porta ad essere più consapevole e responsabile».