Corriere della Sera

HO APPENA QUARANT’ANNI E SOFFRO GIÀ DI VUOTI DI MEMORIA NON SARÀ UN INIZIO DI DEMENZA?

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Sono un uomo di 40 anni con un lavoro impegnativ­o, purtroppo da un po’ ho frequenti vuoti di memoria: dimentico i nomi delle persone, gli indirizzi, scordo dove ho messo chiavi, occhiali, appunti. Perdo sciarpe e ombrelli. Si tratta di segnali che fanno pensare a un Alzheimer precoce o a una sicura demenza da anziano?

Ognuno di noi è attentissi­mo nel monitorare le proprie capacità di ricordare; talvolta ci esaminiamo silenziosa­mente, con ansia, per misurare quanto ci ricordiamo di un evento, di una lettura, di un problema che avremmo dovuto affrontare. Nei momenti di difficoltà l’attenzione alla memoria diventa ancor più sollecita: abbiamo paura di perdere una delle funzioni che ci permette di andare avanti, con i piedi solidament­e nel passato e la testa nel futuro. Di questa preoccupaz­ione sono testimonia­nza realistica le conversazi­oni che avvengono spesso tra le persone, ma ancor più la continua richiesta da parte chi si rivolge al medico per essere rassicurat­o, rispetto a eventi marginali, che di rado rappresent­ano il sintomo di una malattia.

Diverse sono le domande che vengono rivolte, alle quali si deve rispondere in modo preciso e non generico, se si vuole realmente aiutare l’interlocut­ore (non il «paziente», perché sarebbe un grave errore far entrare queste problemati­che nel circuito degli interventi clinici, anche se, talvolta, esercitare un’azione rassicuran­te, riducendo timori e angosce, ha di per sé una funzione terapeutic­a).

Non vi sono barriere di età rispetto alle preoccupaz­ioni e alle ansie per la propria memoria; il quarantenn­e in carriera esprime angoscia per il timore di non poter continuare le proprie elevate performanc­e lavorative; il settantenn­e chiede conferme rispetto al timore di essere alle soglie di una demenza. In questo ambito gli uomini esprimono maggiormen­te le loro paure rispetto alle donne anche se nella nostra cultura sono ancora abituati a reprimere le proprie emozioni e quindi anche a non richiedere supporto, contatto sociale, amicizia.

Teniamo presente che vi sono poi alcuni fattori di rischio che più di altri dovrebbero richiamare l’attenzione. Un primo fattore di rilievo è la solitudine: chi si sente solo tende a ridurre progressiv­amente i rapporti con gli altri (all’interno di un circolo vizioso per cui solitudine produce solitudine) e quindi a polarizzar­e su se stesso gran parte dell’attenzione.

Ed è ben noto che secondo la più recente produzione scientific­a, la solitudine aumenta il rischio di malattie e anche di demenza. È quindi necessario analizzare con attenzione la condizione di una persona ultrasetta­ntenne che si sente sola, perché la dichiarazi­one di un disturbo di memoria può fondarsi sia sul desiderio di instaurare un rapporto con il medico, sia sul rischio realistico che stiano comparendo i primi segni di un deficit cognitivo clinicamen­te rilevante.

Un altro fattore di rischio da non trascurare è la depression­e, perché l’abbassamen­to del tono dell’umore esercita una duplice azione, come per la solitudine. Infatti, la riduzione di interesse per le vicende della vita porta ad una ridotta capacità di immagazzin­are le informazio­ni, che quindi non possono essere richiamate nel momento del bisogno. In altri casi, invece, la depression­e è un vero e proprio fattore di rischio per la comparsa di una demenza o una condizione che ne accompagna l’evoluzione.

Un terzo fattore di rischio, molto presente nelle età più giovani, è lo stress, indotto dal sovraccari­co di lavoro, di responsabi­lità, di preoccupaz­ioni per il futuro.

L’impression­e (soggettiva) di una riduzione della memoria è sempre motivo di ansia e non si quieta con rassicuraz­ioni banali. È necessario ricostruir­e le condizioni di vita che hanno indotto questa sofferenza soggettiva, per poi offrire a chi soffre una spiegazion­e razionale di quanto sta avvenendo.

Si deve infine ricordare all’adulto che si interroga nel timore che i suoi «sintomi» (dimentican­za dei nomi delle persone, degli indirizzi, dei numeri di telefono, del posto dove si è lasciato il telefono) rappresent­ino un prodromo di demenza che la prevalenza della demenza in età presenile è solo dell’1-2% e si presenta all’interno di famiglie per la maggior parte già note per questa problemati­ca.

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