Storia di Sudan, l’ultimo rinoceronte bianco
Kenya È morto l’unico esemplare maschio della sua specie
Sudan, l’ultimo esemplare maschio di rinoceronte bianco settentrionale, è morto in Kenya a 45 anni. Della sua specie restano due femmine.
Il gigante gentile aveva una passione per il fango, dove si rotolava a lungo, ignaro della sua mole. E, soprattutto, i grattini dietro le orecchie che visitatori e guardiani gli regalavano senza timori: Sudan, l’ultimo esemplare maschio di rinoceronte bianco settentrionale (Ceratotherium simum cottoni), non aveva nulla della tradizionale irritabilità di questi mammiferi, i secondi per stazza sulla Terra dopo gli elefanti. Si è spento, a 45 anni, nella riserva di Ol Pejeta, a 200 chilometri da Nairobi, in Kenya. «Aveva un cuore d’oro, ci mancherà moltissimo», ha detto Richard Vigne, direttore del parco dove l’animale si trovava dal 2009, guardato a vista da sorveglianti armati.
Lacrime e speranza: Sudan ha lasciato ai veterinari che l’avevano in cura sufficiente materiale genetico per sperare, in un futuro, «di riuscire a perpetuare la presenza di questi splendidi esseri in Africa». Ora, il rinoceronte bianco settentrionale è una sottospecie del rinoceronte bianco africano: c’è la variante del Nord, appunto — sono rimaste solo due femmine: la figlia e la nipote di Sudan, Najin e Fatu —, e quella meridionale, di cui si contano ancora circa ventimila esemplari. La storia di Sudan, tuttavia, è esemplare perché ci racconta l’effetto dell’uomo sull’ecosistema e il grave rischio che corrono diverse specie animali.
L’ultimo rinoceronte bianco settentrionale era stato «riportato» nella sua terra natale, l’africa, dallo zoo di Dvur Králové, nella Repubblica Ceca dove era stato trasferito per «sicurezza». Il suo compito, condiviso da un altro maschio e due femmine: provare a dare alla luce dei piccoli. Purtroppo Sudan non è riuscito a replicare la paternità e l’altro maschio è morto di cause naturali nel 2014, anche lui senza riuscire a riprodursi.
Dopo altri tentativi infruttuosi, Sudan è stato infine messo «a riposo» e, dopo una lunga malattia dovuta agli acciacchi dell’età, i veterinari di Ol Pejeta insieme ai colleghi dello zoo ceco hanno deciso che era ora di porre fine alle sofferenze del grande animale. Non sembri questa una decisione sconsiderata: Sudan era sì l’ultimo (maschio) dei suoi. Ma se la specie si era ridotta a tal punto la responsabilità è soltanto dell’uomo. A cominciare dalla lunga stagione del bracconaggio selvaggio degli anni Settanta e Ottanta, quando la richiesta di corno di rinoceronte — elemento della medicina tradizionale cinese e dei manici dei coltelli yemeniti — aveva portato allo sterminio totale degli esemplari presenti in Uganda, Repubblica Centrafricana e Ciad. I 20-30 superstiti, «protetti» all’interno del parco nazionale di Garamba, nella Repubblica democratica del Congo sono stati uccisi tra gli anni Novanta e il 2000, quando il Paese è stato stravolto da una sanguinosa guerra civile. Restavano soltanto Sudan, l’altro maschio, Suni, e le due femmine, tutti «coccolati» nello zoo della Repubblica Ceca, certo non il luogo ideale per un mammifero che trotta per chilometri e chilometri per trovare erba fresca.
Il tentativo di reintrodurre questi animali nel loro habitat non ha avuto successo: nel senso che gli ultimi «mohicani» con il corno non sono stati capaci di dar vita a dei cuccioli. C’è da chiedersi perché: forse anche per gli animali l’accoppiamento e la riproduzione devono essere legati a condizioni potenzialmente benevole. In fin dei conti, i rinoceronti non hanno mai avuto veri nemici in natura. A parte l’uomo.