Florio, rigore per un «Orfeo» diverso dai noti
Il Regio torinese sana finalmente la ferita di non aver mai prodotto un allestimento de L’orfeo di Monteverdi, quel miracolo d’opera da cui tutto ha inizio e in cui tutto è già compiuto. Lo fa affidandosi a uno specialista di consumata militanza come Antonio Florio e formando con lui un ensemble strumentale di musicisti del teatro e barocchisti scritturati ad hoc.
L’investimento paga. Perché il direttore barese, oltre a garantire la qualità tecnica dell’insieme, regala al pubblico un Orfeo diverso da quelli noti. Non trae cioè alimento e ritmo drammatico dal contrasto tra pensosi segmenti di recitar contando da un lato e rapide cornici (strumentali, corali e coreutiche) dall’altro; disegna piuttosto un tutto uniforme cercando una sorta di mobilità interna al fluire delle cose. Lascia sorpresi, tale scelta. Ma se alcune pagine pagano dazio a tanto austero rigore, altre arrivano con una forza espressiva magistrale, anche perché la sensibilità dei cantanti è quanto basta per sfruttare sensatamente l’ampio margine di libertà che Florio concede loro. Molto interessante, a proposito, l’orfeo baritonale di Mauro Borgioni; bene gli altri; semplicemente stupenda per proprietà stilistica e intensità drammatica Monica Bacelli, che è Messaggera e Speranza.
Sul gioco di sponda tra Natura e Anima, Estate e Inverno, caldo e freddo indulge invece la messinscena di Alessio Pizzech, «inscatolata» in una struttura lignea che appesantisce l’azione, sottraendovi non pochi dei molteplici incanti. Non c’è il sold out ma è un successo.