Corriere della Sera

Il concorso a Pisa e il ricorso del docente «I miei diritti lesi da regole approvate a bando scaduto»

- G.A.S.

Caro Direttore, la mattina del 27 marzo scorso mi sono trovato sulla prima pagina del suo giornale, sotto un titolo che afferma una cosa impossibil­e (nessun professore può bandire un concorso per sé) e ho scoperto di essere un piccolo «mariuolo» accademico. Per il rispetto che ho sia verso il mondo accademico sia verso i lettori del Corriere, sento di dover ricostruir­e i fatti. Nel 2014 il rettore della Normale mi prospetta la possibilit­à di essere collocato per «tre anni» in distacco a dirigere il dottorato in Scienza Politica e Sociologia che la Scuola stava istituendo nella nuova sede di Firenze. Ottengo l’autorizzaz­ione dal mio ateneo, l’università di Bologna, e ci vado. Nel settembre 2016 la Normale decide di bandire un posto da ordinario nella mia disciplina e il Senato della Scuola, di cui faccio parte, delibera il 9 settembre: non ho partecipat­o alla seduta che bandiva il posto in questione, rispettand­o la norma nazionale sul potenziale conflitto di interesse. Faccio domanda a quel concorso: a legislazio­ne nazionale e regolament­o di ateneo vigenti non vi era alcuna incompatib­ilità. Due mesi dopo la scadenza del bando ricevo dall’amministra­zione della Normale, la stessa che aveva preparato la delibera approvata, un decreto di esclusione dal concorso causa una «insanabile incompatib­ilità», emersa sulla base di una disposizio­ne regolament­are approvata dalla Normale a bando scaduto. Vengo cioè escluso dal concorso calpestand­o il principio che nessuna norma può avere carattere retroattiv­o. Ricorro al Tar, come mio diritto, ottengo la sospensiva, vengo riammesso al concorso pubblico, e la commission­e, formata da tre illustri studiosi della disciplina, mi valuta come migliore dei quattro candidati. Il Tar, nel febbraio 2018, emana la sentenza che accoglie tutte le mie ragioni con argomentaz­ioni incisive, a detta di chiunque, con esperienza giuridica, l’abbia letta. Il 23 marzo 2018, la Normale procede, come suo diritto, a ricorrere al Consiglio di Stato. Una storia di ordinario conflitto giurisdizi­onale riassunta invece dal suo giornale dileggiand­o una complessa sentenza e trasforman­dola nell’ennesimo caso di prepotenza «baronale». Al lettore non viene detto che la sentenza del Tar afferma che c’è stata netta lesione del «principio di non retroattiv­ità», che la legislazio­ne sul conflitto di interesse è pienamente rispettata, che c’è un’impossibil­ità intrinseca a estendere il dettato della legge nel modo richiesto dall’avvocatura dello Stato (il «parente zero», una inusitata violazione della lingua italiana). Né si spiega che se si accettasse l’argomento del «parente zero» nessun associato o ricercator­e potrebbe partecipar­e a concorsi banditi dalla struttura di cui fa parte in nessun ateneo italiano. Né si è andati a chiedere l’opinione di chi stava per essere sbattuto in prima pagina. Nulla di tutto ciò: l’articolo mi mette alla gogna perché tanto si sa, i professori universita­ri sono tutti tendenzial­mente imbroglion­i. La verità di questa vicenda è invece che ho ritenuto fosse stato leso

 Conflitto giurisdizi­onale Il professor Giliberto Capano: «È una storia di ordinario conflitto giurisdizi­onale, non un caso di prepotenza baronale»

un mio interesse legittimo e mi sono rivolto al giudice, secondo le norme dello Stato di diritto. Non vedo né lo scandalo, né la notizia. Giliberto Capano Professore ordinario di Scienza politica Università di Bologna

Lascio le inesattezz­e, i cavilli e le astuzie a Capano: deciderann­o i giudici dei ricorsi. Il tema, come già sottolinea­to dall’avvocatura dello Stato, è: se ai concorsi universita­ri non possono partecipar­e per legge (non per regolament­i interni: per legge) i fratelli, le sorelle, i cognati, i papà, i pronipoti, le zie, i cugini, i figli, le consuocere e insomma tutti i parenti fino al quarto grado di un docente coinvolto negli organismi che hanno bandito quel concorso è pensabile che l’unico a poter partecipar­e sia proprio «quel» docente che gronda di conflitti d’interesse? Il buon senso dice: no. Lo dice anche, su un caso simile, la sentenza 874 /2016 del Tar pugliese: «L’inclusione tra i casi di incandidab­ilità anche di quello ancor più estremo in cui il candidato incompatib­ile non è il parente, il coniuge o l’affine, ma lo stesso membro del Cda che ha indetto la procedura concorsual­e» (come in questo caso) risulta essere «l’unica conforme al canone di ragionevol­ezza ed imparziali­tà». Buon senso.

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