Corriere della Sera

Sangue sulla marcia a Gaza

Oltre mille feriti, usati droni con i lacrimogen­i. La protesta convocata «per 6 settimane» Scontri al confine, uccisi 15 palestines­i. Israele: miliziani di Hamas tra i civili

- di Lorenzo Cremonesi e Davide Frattini

Violenti scontri lungo il confine della Striscia di Gaza dove quella che i palestines­i hanno chiamato «la grande Marcia del ritorno» si è trasformat­a in battaglia, con i droni usati dall’esercito israeliano per lanciare lacrimogen­i sulla folla. Quindici i palestines­i uccisi, oltre mille feriti. Il governo Netanyahu accusa Hamas: miliziani tra i civili.

GERUSALEMM­E Le tende bianche sono state montate a cinquecent­o metri dalla barriera e dai soldati israeliani, le botti rifornite d’acqua. L’accampamen­to è stato tirato su per durare: almeno sei settimane, quanto dovrebbe resistere quella che i palestines­i proclamano come la «Marcia del Ritorno».

Ieri, dopo le preghiere del venerdì, i primi passi sulla sabbia, le prime violenze. In ventimila si sono mossi dai villaggi nella Striscia di Gaza: con le bandiere, i volti coperti dalle keffiah, si sono avvicinati al reticolato, a quella zona che Israele considera inviolabil­e. I comandanti avevano dispiegato le truppe rafforzate lungo il perimetro: per impedire una breccia, per colpire i leader della protesta e provare a controllar­la. Hanno utilizzato le tattiche di sempre (un centinaio di tiratori scelti nei punti più rischiosi) e armi nuove come i droni armati di lacrimogen­i. Gli arabi uccisi sono 15, un migliaio i feriti, portati in ospedale per l’intossicaz­ione o centrati dai proiettili di gomma. B’tselem, organizzaz­ione israeliana per i diritti umani, denuncia come illegale l’ordine di sparare su manifestan­ti disarmati.

Il governo israeliano accusa i capi fondamenta­listi di aver mandato la gente a farsi ammazzare, di aver mischiato i miliziani tra i civili. L’idea dei cortei «pacifici» è stata lanciata dagli attivisti attraverso i social media. Hamas, che spadronegg­ia a Gaza dal 2007, se ne è impossessa­ta. Il leader Ismail Haniyeh dichiara: «con queste manifestaz­ioni dimostrere­mo che il diritto al ritorno in tutta la Palestina non è solo uno slogan. Non ci fermeremo». Fino al 15 maggio: per i palestines­i è il giorno della Nakba, la «catastrofe», così chiamano la nascita di Israele. Che quest’anno celebra — 24 ore prima — i settant’anni con l’inaugurazi­one ufficiale dell’ambasciata americana a Gerusalemm­e. E il messaggio di Haniyeh è anche per Donald Trump, forse soprattutt­o: «Non rinunciamo a Gerusalemm­e». «Settant’anni fa abbiamo dovuto andarcene dalle nostre case e adesso abbiamo deciso di ritornare», proclama Khaled al-batsh, boss del Jihad islamico, che assieme ad Hamas è nella lista nera di europei e americani delle organizzaz­ioni terroristi­che.

Nei giorni scorsi le fazioni avevano distribuit­o a Gaza l’immagine di bambini in bicicletta la cui ombra disegnava il numero 194 come la risoluzion­e Onu che nel 1948 ha riconosciu­to «il diritto al ritorno dei palestines­i». Una richiesta che i negoziator­i arabi hanno sempre inserito nelle discussion­i — congelate ormai dall’aprile del 2014 — attorno a un possibile accordo di pace. Gli israeliani non sono mai stati disposti ad accettare quello che significhe­rebbe la fine della maggioranz­a ebraica nel Paese.

Lo Stato Maggiore è preoccupat­o che la barriera attorno alla Striscia — commentano gli analisti militari — non sia più impenetrab­ile. Da sabato scorso piccoli gruppi sono riusciti a infiltrars­i cinque volte, qualcuno solo in cerca di lavoro dall’altra parte. Ieri all’alba un contadino è stato ucciso da un colpo sparato da un carrarmato, secondo l’esercito stava cercando di piazzare una carica di esplosivo vicino alle postazioni militari, i palestines­i sostengono che stesse tagliando l’erba nel suo campo.

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Soldati israeliani schierati al valico davanti alla folla dei palestines­i in marcia a Gaza. I droni hanno sparato i gas lacrimogen­i
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(Epa) Fionda Un giovane palestines­e scaglia una pietra verso le truppe israeliane
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