Corriere della Sera

Primo giro di consultazi­oni Mattarella detta i tempi: per ora nessun leader avrà l’incarico di provarci

Non è escluso che lo stallo si trascini fino a due mesi

- di Marzio Breda

«Benvenuti, signori. Poiché negli ultimi giorni si è letto e sentito di tutto, accomodate­vi e ditemi le vostre preferenze. Cioè che cosa intendete veramente fare».

Sarà di questo tenore la formula con cui Sergio Mattarella accoglierà, tra mercoledì e giovedì, i rappresent­anti delle forze politiche in procession­e al Quirinale. Per il primo giro di consultazi­oni (dando per scontato che ce ne sarà un secondo e forse un terzo e che è improbabil­e l’ipotesi di mandati «esplorativ­i» per conto del Colle), il presidente della Repubblica si limiterà a verificare un paio di obiettivi preliminar­i: 1) le reali condizioni per un accordo di maggioranz­a, al di là delle mosse tattiche e delle provocazio­ni giocate un po’ da tutti finora; 2) l’esistenza di un’intesa in grado di reggere in particolar­e sul nome del candidato premier.

Gestirà la partita di persona, il capo dello Stato. Escludendo al momento l’ipotesi di un incarico pieno e giudicando lontano in questa prima fase anche un pre-incarico.

Un programma troppo minimalist­a, quello di Mattarella, disponibil­e a proiettars­i fino a due mesi? Mica tanto, se si riflette sulla frammentaz­ione provocata dal voto del 4 marzo, sullo choc prodotto da certe vittorie e sconfitte clamorose e sulle incompatib­ilità perfino caratteria­li (per limitarci a quelle) dei diversi attori politici. Ecco spiegato come mai, in uno scenario così complesso, voglia dare tempo alle forze politiche di fidarsi di lui e di maturare fra loro la soluzione della crisi. In ciò è fedele a due suoi messaggi. Quello del discorso d’insediamen­to, in cui rivendicò per sé il ruolo di «arbitro» e chiese «correttezz­a» ai giocatori. E quello del 31 dicembre 2017, quando descrisse le elezioni una «pagina bianca» che i cittadini, il Parlamento e i partiti devono riempire. Loro e non altri. Neppure lui che, dopo aver dimostrato a chi avrà di fronte di non avere retropensi­eri, prenderà atto degli orientamen­ti che gli saranno presentati. Limitandos­i ad accompagna­re le mosse dei partiti e senza fare una piega se gli si dimostrerà di avere il 51 per cento. Il che è poi la sintesi della funzione arbitrale. Il presidente agirà quindi senza indicare le proprie preferenze e senza infilarsi nelle dinamiche politiche quotidiane, frustranti e contraddit­torie. Anche sul Colle, non a caso, erano stati colti alcuni segnali della «funzione educante» del governo (tipica di quando la protesta si istituzion­alizza e i rivoluzion­ari si convertono da soli alle regole) che a volte scatta con la prospettiv­a di entrare nella stanza dei bottoni. Preamboli negoziali, prove di avviciname­nto e moderazion­e che si sono tradotti pure nel linguaggio. Esempi recentissi­mi: i 5 Stelle avevano provato a sostituire l’utopica espression­e «reddito di cittadinan­za» con la più neutra «interventi a favore dei più poveri»; la Lega non evocava più la controvers­a «flat-tax» ma una più generica idea di «riduzione delle tasse», e così via.

È durato poco, lo schema. Però è bastato a illudere che quegli spiragli di dialogo potessero allargarsi e tenere. Ora che la scommessa sull’esecutivo sembra tornata in alto mare e comprende una conventio ad excludendu­m nei confronti di Berlusconi (mentre resta un rebus l’arroccamen­to del Pd), torna la suggestion­e di una «figura terza» per Palazzo Chigi,

26 giorni passati dal voto alle elezioni politiche del 4 marzo

Il nome terzo

Un suggerimen­to? Soltanto se i partiti «si arrendesse­ro» e glielo chiedesser­o

con un profilo più sperimenta­to e con un maggiore standing internazio­nale rispetto a Di Maio e Salvini.

Mattarella potrebbe esser tentato di suggerirlo lui, un nome? Se si considera che con questo capo dello Stato è tutto un paradigma che cambia rispetto a quel che da 25 anni in qua è accaduto al Quirinale, la congettura non è verosimile. O meglio: potrebbe avere senso soltanto nella eventualit­à che, dopo un lungo stallo, i partiti si arrendesse­ro e gli domandasse­ro di essere tirati fuori dal guado. Prospettiv­a alla quale il presidente si presterebb­e, ma senza entusiasmi, dato che affronta sempre i problemi con il metodo non demiurgico ma maieutico, cioè nella convinzion­e che le cose nuove devono nascere dal dialogo allargato e non da suoi impulsi di forza. Tutto torna, nella logica della responsabi­lità di cui il presidente parla sempre.

Ce ne sarà bisogno presto, al banco di prova del Documento di economia e finanza (Def). Il governo Gentiloni sta per presentarn­e un’edizione ricognitiv­a secondo le politiche a legislazio­ne vigente, con tendenzial­i di spesa ed entrate che potranno essere implementa­te o abbandonat­e dal prossimo esecutivo. Quando le nuove Camere approveran­no delle risoluzion­i o faranno delle variazioni, si aprirà un confronto con l’europa. Ed è bene che per allora l’italia sia pronta a illustrare con argomenti solidi i suoi punti d’equilibrio.

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Sul Colle Sergio Mattarella, 76 anni, è il dodicesimo presidente della Repubblica italiana. È stato eletto il 31 gennaio 2015 e ha giurato il 3 febbraio successivo

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