Ma da Orlando a Franceschini si allarga il fronte per il dialogo
ROMA «Franceschini, Orlando, Zanda, magari con l’aiuto esterno di Veltroni... Non è finita, ci proveranno in tutti i modi a spingere il Pd a sostenere un governo coi Cinquestelle...». Venerdì santo, metà pomeriggio. Le vie del centro della Capitale sono appannaggio dei pochi romani rimasti in città e dei turisti che sono venuti a trascorrerci le vacanze di Pasqua. I palazzi del potere sono vuoti, le mille trattative sul futuro dell’incerta legislatura appena iniziata si sono fermate. Quel «con Di Maio ci sentiremo dopo Pasqua», pronunciato da Matteo Salvini, ha avuto il suono di un rompete le righe, un time-out che rinvia la madre di tutte le questioni — e cioè il dibattito sulla nascita di un governo — al rientro dalle mini-vacanze.
Eppure al Nazareno, quartier generale del Partito democratico, c’è più di una luce accesa. È in corso una delle tantissime riunioni della maggioranza renziana in cui riecheggia l’oscuro presagio che l’ex segretario ha consegnato ai suoi prima di lasciare Roma: «Non è finita, ci proveranno in tutti i modi a spingere il Pd a sostenere un governo con i grillini».
Perché è questo che pensa Renzi. Ed è più di una sensazione. Da Dario Franceschini a Andrea Orlando, passando per Walter Veltroni, Michele Emiliano, Sergio Chiamparino e Luigi Zanda, l’elenco di tutti quelli che spingono perché il Pd esca dal guscio dell’opposizione si sta allungando a vista d’occhio. E potrebbe aumentare la propria spinta quando, con l’inizio delle consultazioni, anche il Quirinale entrerà formalmente nella partita.
L’opzione minima è quella che comprende più o meno lo stesso pensiero espresso l’altro giorno dal filosofo Massimo Cacciari durante una puntata di Otto e mezzo: «Il Pd avrebbe dovuto offrire l’appoggio esterno a un governo M5S. Dichiarandosi disponibili a lasciar fare un monocolore grillino, avrebbero ottenuto uno sconquasso incredibile». L’opzione massima è un’altra, il «jolly» che molti renziani intravedono nel taschino di Franceschini e Orlando. «Stanno facendo una pantomima per prendere tempo», si sente dire in riunioni come quella di ieri. «In realtà, aspettano il momento giusto per dire a Di Maio che sarebbero pronti a sostenere un governo coi Cinque Stelle a patto che non sia lui a guidarlo. E magari sono già d’accordo con lui…».
Perché c’è anche questo, nella testa dei fedelissimi di Renzi. La paura che ci sia un pezzo del Pd che sta già trattando sottobanco con il capo politico pentastellato, e che quest’ultimo avrebbe già messo in conto di fare quel passo di lato più volte smentito.
Ugo Sposetti, lo storico tesoriere degli ex ds, ben sintonizzato tanto con le antenne radio dell’opposizione interna a Renzi quanto col gli ambienti vicini al Quirinale, lo dice chiaramente: «Il Pd è il secondo partito italiano e non può continuare con questa strategia dell’aventino. Siamo il centrosinistra, giusto? E il centrosinistra in questo momento ha un solo compito: impedire che i Cinque Stelle finiscano tra le braccia della destra. O lo capiscono i nostri dirigenti, e si danno una mossa. Oppure stiano fermi, ché il nostro popolo l’ha già capito…». Fuor di metafora, è un altro invito ad andare a vedere le carte di Di Maio.
E dire che pochi giorni fa, quando il patto Lega-cinque Stelle sui presidenti delle Camera sembrava aver semplificato il quadro sollevando il Pd da ogni responsabilità futura, il capo degli Enti locali del partito Matteo Ricci declinava gli incubi di una scissione al tempo passato: «Si va verso un governo Di Maio con Salvini vice, noi stiamo tranquilli all’opposizione e Renzi non avrà alcun margine per farsi un partito tutto suo». Adesso, però, torna tutto in gioco. Compresa l’ipotesi che l’ex segretario torni a minacciare di farsi un partito tutto suo.
Le tensioni
I fedeli all’ex segretario temono intese segrete: tenteranno in ogni modo a spingerci verso M5S