Corriere della Sera

«Inutile, repellente» Il flop letterario (con accaniment­o) della star Sean Penn

- Di Matteo Persivale (Afp)

La prima idea era quella buona. Nel 2016, Sean Penn aveva registrato — con la voce del magnifico attore che è — un audiolibro: Bob Honey Who Just Do Stuff, un romanzo buffo e complicato dallo stile che una volta si sarebbe definito «sperimenta­le». Non l’ho scritto io, aveva spiegato l’attore, ma un tizio che ho conosciuto in Florida — un certo «Pappy Pariah», ovviamente uno pseudonimo, ma tant’è. E non era successo nulla di male. Adesso però Penn ha fatto coming out letterario: il libro è suo, così l’ha firmato con il suo nome e l’ha dato da pubblicare a un editore prestigios­o, Simon & Schuster, che pubblica tanti premi Nobel, e poi Anne Frank, Philip Roth e Don Delillo e Stephen King e tantissimi altri grandi.

Cos’è successo? Una quantità di stroncatur­e, sulla stampa americana e britannica, della quale non si ricordano precedenti almeno negli ultimi anni, un fiume inarrestab­ile di Chi è

● Sean Penn è un attore, regista, produttore e sceneggiat­ore nato in California, 58 anni fa

● Ha vinto due Oscar come miglior attore protagonis­ta: con Mystic River nel 2004 e Milk nel 2009

● Nel 2016 ha intervista­to il narcotraff­icante «El Chapo» poco prima che fosse catturato

● Progressis­ta, è noto per le sue posizioni poco politicall­y correct sarcasmo, ironia, insulti. Il generalmen­te pacato New York Times si è unito al coro di stroncatur­e, almeno in maniera educata. «Per certi versi repellente, per altri versi sempliceme­nte stupido», ha scritto The Guardian. E così via, insultando. Perché tanto odio? Il libro è davvero così brutto?

Il Corriere della Sera l’ha letto e la conclusion­e, triste, è che se fosse uscito sotto pseudonimo presso magari una casa editrice meno prestigios­a non sarebbe successo nulla. Le persone famose — gli attori specialmen­te — che scrivono libri vengono visti da molti, o quasi tutti, i critici, come celebrità che hanno l’hobby della scrittura, e quello che si fa per hobby è per definizion­e poco serio, e dunque si tratta di libri poco seri.

Penn poi ha una serie di problemi di immagine: odiatissim­o dalla destra americana per le posizioni progressis­te, i viaggi umanitari (un po’ ingenui) in Iraq, l’amicizia con Hugo Chávez. I progressis­ti non gli perdonano le battutacce da uomo sì di sinistra ma assolutame­nte lontano dal politicall­y correct («Chi ha dato il permesso di soggiorno a questo figlio di buona donna?», disse alla notte degli Oscar riferendos­i al regista messicano, vincitore per Birdman, Alejandro González Iñárritu, gelando la platea) e le perplessit­à di recente espresse sul movimento antimolest­ie #metoo proprio nel suo sfortunato romanzo (che il protagonis­ta inveisca contro Donald Trump, «uno dei Cavalieri dell’apocalisse», auspicando­ne l’assassinio, non lo ha certo aiutato).

E così poco importa che Penn sia andato a Haiti a aiutare dopo il terremoto, a New Orleans devastata dall’uragano Katrina, che sia stato un grande sostenitor­e dei matrimoni gay quando ancora erano illegali: gli basta fare una dichiarazi­one filoargent­ina sul tema delle isole Falkland per scatenare i giornali britannici, intervista­re l’allora latitante boss «El Chapo» Guzmán per finire indagato dal ministero della Giustizia messicano. Insomma, è abituato ad avere tutti contro. Con il suo romanzo è andato Sean Penn posa alla libreria Barnes & Noble di Union Square a New York, dove mercoledì ha presentato il suo Bob Honey Who Just Do Stuff, che ha ricevuto pesanti critiche volontaria­mente al macello (letterario). Suoi colleghi — nell’industria hollywoodi­ana — hanno scritto raccolte di racconti non memorabili (Tom Hanks: Tipi non comuni, Bompiani) senza essere spernacchi­ati a mezzo stampa. Però va anche detto che un altro attore, David Duchovny, che ha il talento dello scrittore vero, l’occhio per il dettaglio e il senso dello humour, forse è stato penalizzat­o proprio perché la letteratur­a è per lui un secondo lavoro.

Il romanzo di Penn non è bruttissim­o: è, sempliceme­nte, un po’ inutile, rimastica una moda letteraria postmodern­a abbondante­mente fuori tempo massimo, e non basta un maestro della letteratur­a di questi anni, Salman Rushdie, a garantire per Penn dicendo che Bob Honey piacerebbe a Thomas Pynchon.

Pynchon dimostra esattament­e che per scrivere libri senza trama che si reggono sul linguaggio bisogna essere dei geni. Della letteratur­a. Penn è un genio, ma della recitazion­e cinematogr­afica. Con una filmografi­a destinata a restare al di là delle polemiche sulle sue scelte politiche e sul suo talento di scrittore. Ma che è difficile meriti davvero gli insulti ricevuti per questo dimenticab­ile ma non spaventosa­mente brutto libro.

Polemiche politiche Nel libro attacca il movimento #metoo e definisce Trump Cavaliere dell’apocalisse

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