Oliviero Diliberto L’ex guardasigilli racconta la politica e la vita in Oriente «Salvai la scrivania di Togliatti, da comunista viaggio in seconda classe»
O liviero Diliberto non dà interviste dal 2013, «da quando la mia parte politica fu sconfitta disastrosamente», specifica. A maggior ragione non vorrebbe darne oggi, «visto che alle elezioni del 4 marzo è stata annientata». L’ex guardasigilli comunista è impietoso con sé stesso: «La mia generazione ha fallito. Il suo unico dovere morale è scomparire».
Giusto 20 anni orsono, fu ministro della Giustizia per 18 mesi nei due governi D’alema. «L’avvocato Niccolò Ghedini, non certo un bolscevico, riconobbe che ero stato il migliore». Dicono che Diliberto sia presuntuoso. «È possibile», ammette. Ma qualche motivo di legittimo orgoglio ce l’ha. Sta insegnando il diritto romano alla Cina. Di più: sta aiutando il governo di Xi Jinping ad adottarlo nel proprio codice civile. Mi mostra un libro con testo in cinese e traduzione a fronte in latino. In copertina c’è l’immagine dell’imperatore bizantino Giustiniano nel mosaico della basilica di San Vitale a Ravenna. Decritta ad alta voce gli ideogrammi: «Corpus iuris civilis di Giustiniano. Digesto. Libro Delle cose nuziali. Traduzione in cinese di Huang Meiling». È stata sua allieva a Roma, oggi è docente associata alla Zuel.
L’acronimo significa Zhongnan university of economics and law. L’ateneo ha sede a Wuhan, 1.200 chilometri a sud di Pechino, 10 milioni di abitanti. È la città delle università: ne conta ben 200. Diliberto, ordinario di diritto romano alla Sapienza, ci va due volte l’anno. Insegna in italiano e in latino. «Tutti gli studenti mi capiscono», e un altro guizzo di fierezza gli illumina lo sguardo.
Bernardo Bertolucci dovrà aggiornare il suo film: l’assemblea del Popolo ha incoronato Xi Jinping ultimo imperatore con due soli voti contrari.
«Il leader cinese ha avviato una campagna di riforme mai vista prima. Le ricordo che Franklin Delano Roosevelt fu presidente degli Stati Uniti per quattro mandati e ne avrebbe fatto un quinto se non fosse morto».
Che genere di riforme?
«Lotta alla povertà, Stato fondato sul diritto, contrasto alla corruzione. Che significa anche morigeratezza: il rettore e il preside della Zuel sono obbligati a viaggiare in seconda classe nonostante paghino il biglietto aereo di tasca loro».
La Cina usa come schiavi i reclusi dei laogai e detiene il record mondiale di esecuzioni capitali. E lei mi parla di riforme?
«La pena di morte c’è anche negli Stati Uniti e nessuno s’indigna. Con la differenza che gli americani avrebbero dovuto abolirla, perché in fatto di diritti umani hanno una tradizione che in Asia non esiste. Invece non riconoscono neppure la Corte penale internazionale dell’aia».
L’italia è il Paese europeo in cui vivono più poveri: sono 10,5 milioni. Non dovrebbero essere tutti comunisti?
(Ride). «Bella domanda. Il proletariato è più numeroso dei ceti abbienti, ma nelle elezioni, ahimè, entrano in gioco fattori ideologici, propagandistici, religiosi, antropologici. Pensi ai consensi raccolti dalla Dc. Un partito interclassista che, a questo punto, tutti rimpiangiamo».
Com’è che Pd? i poveri non votano per
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
La incrimino per reticenza.
«Non si possono tenere insieme Gramsci, Kennedy, Luther King e don Milani».
Che fine farà il Partito democratico? il
«Sono riusciti a perdere anche le regioni rosse. Non c’è più niente».
E Matteo Renzi?
«Dovrebbe scomparire. Non lo farà».
La disgusta che Movimento 5 Stelle e Lega arrivino al governo?
«Il peggio che ci possa capitare. Ma gli elettori hanno deciso così».
Perché il peggio?
«Perché nel 2007 assistetti per caso dalla finestra di un hotel di Bologna al primo V-day con Beppe Grillo. Un fanatismo e uno schiumare di rabbia terribili. L’idea che chiunque ha fatto politica sia un delinquente, a prescindere, contraddice tutti i valori della democrazia rappresentativa dai tempi di Pericle a oggi».
Quale esecutivo pronostica?
«Le mie categorie della politica non esistono più. Sarebbe come chiedere a Romolo Augustolo che tipo di governo formeranno i barbari».
Fu scritto: «Diliberto si fida solo di Massimo D’alema». Sua obiezione: «Non mi fido di nessuno». Dev’essere un brutto vivere.
«Basta sapere che la parola data viene a volte tolta. Da segretario del Partito dei comunisti italiani nel 2013 strinsi un accordo con Pier Luigi Bersani, che in extremis si dileguò. Feci male a fidarmi».
Odia ancora Silvio Berlusconi?
«No. Ho recuperato la giusta distanza. Però mi fa sempre incazzare. In campagna elettorale s’è vantato d’essere stato assistente universitario di diritto romano. Una balla. E per fortuna, dato che ha attribuito il Digesto a Ulpiano».
Vittorio Feltri sostiene che Berlusconi è sincero solo quando mente.
«Fantastica definizione».
Come divenne comunista?
«Era il 1969. Entravo in quarta ginnasio a Cagliari. C’era l’autunno caldo. Alcuni militanti distribuivano volantini per strada. Non li avevo mai visti. I volantini, dico.
Pechino ha il record di esecuzioni capitali, ma la pena di morte c’è anche negli Usa. Liberai Öcalan dopo una telefonata di Berlino