Insegno ai cinesi a scrivere il codice col diritto romano
Rimasi folgorato dall’idea che si potesse cambiare il mondo».
È ancora della stessa idea?
«Come spiegò Enrico Berlinguer a Enrico Mentana, sono felice d’essere rimasto fedele agli ideali della mia gioventù. Non so quanti possano dire lo stesso».
Che cosa c’è di giusto nel comunismo?
«In astratto, l’uguaglianza. Che figura anche nell’articolo 3 della Costituzione».
E di sbagliato?
«Tante cose. In primis il presupposto che tutto debba essere di proprietà dello Stato».
Perché lasciò Rifondazione comunista?
«Perché togliere la fiducia al governo Prodi, come fece Bertinotti, a me pareva, e pare tuttora, un tragico errore».
Ha più visto il subcomandante Fausto?
«Ci siamo riabbracciati sei mesi fa, ospiti per cena a casa di Maretta Scoca, la cui morte, avvenuta nei giorni scorsi, mi ha immensamente rattristato».
Non capisco come una ex sottosegretaria alla Giustizia fosse finita in tv a emettere sentenze a «Forum».
«Io non ci sarei andato, però a Maretta perdono tutto».
Da guardasigilli lei liberò il guerrigliero curdo Abdullah Öcalan. Lo rifarebbe?
«È tempo di raccontare la verità. L’avevamo arrestato per omicidio su mandato di cattura emesso dai tedeschi. Poi mi telefonò il vicecancelliere Joschka Fischer dicendo che l’ordine era stato revocato in quanto non volevano che l’italia lo estradasse in Germania. E sa perché? Per non avere rogne con la Turchia».
È vero che al momento di lasciare il dicastero della Giustizia fece sparire la scrivania che fu di Palmiro Togliatti, affinché non la ereditasse il leghista Roberto Castelli?
«In parte. L’avevo tirata fuori dagli scantinati. Marcello Pera, ministro in pectore, dichiarò che al suo arrivo l’avrebbe fatta bruciare. Allora chiesi a un funzionario di assegnarla a un ignaro magistrato britannico di collegamento che lavorava in via Arenula. Quando fu nominata ministro, Paola Severino mi telefonò per sapere dove fosse finita e io fui ben lieto di fargliela ritrovare».
Come vive un comunista?
«Con sobrietà. Da non confondere con il pauperismo: per anni ho avuto un pusher che mi forniva il pregiato caffè di Sant’elena, l’isola dove morì Napoleone. Sul Frecciarossa viaggio in seconda classe. Ho insegnato gratis all’università anche mentre ero in aspettativa parlamentare. Ci sono andato con le stampelle, dopo che mi era scoppiata la rotula in un brutto incidente domestico. Ho fatto persino gli esami in carcere a Totò Cuffaro».
Giampaolo Pansa la accusò di essersi recato in vacanza alle Seychelles con la scorta pagata dallo Stato.
«Le nuove Br avevano appena ucciso Massimo D’antona. Con me c’erano due agenti assegnati d’ufficio dal Viminale, non potevo rifiutarli. Comunque volai laggiù con i punti Mille miglia dell’alitalia. Fossi stato in ferie a Sabaudia, lo Stato avrebbe speso di più: di uomini della scorta in hotel me ne toccavano sei».
Però mangia spesso al Ragno d’oro, nel quartiere Prati di Roma, ristorante famoso per il pesce fresco.
«Cattiverie giornalistiche. È una trattoria per famiglie, sotto casa mia. Spendo 25 euro. Piaceva al regista Carlo Lizzani».
Lei è un bibliofilo, come Marcello Dell’utri. Fosse ancora ministro, lo farebbe scarcerare?
«La dignità non dipende dal nome del detenuto. Se è vecchio e malato, ha il diritto di curarsi fuori dal carcere».
Vedendo la biblioteca di Dell’utri, confessò d’aver provato «odio sociale».
«No, invidia di classe. Possedeva volumi antichi che io mai mi sarei potuto permettere. Però sono felice di aver aperto due locali a pianterreno in via degli Scipioni per ospitarvi chiunque voglia consultare i miei 25 mila libri. Un’idea vagamente comunista».
Lei è ateo?
«Sì».
E si trova bene?
(Esita). «Diciamo che sono in pace con la mia coscienza. Credo di attenermi ai valori morali più di tanti credenti».
Ma papa Francesco sarà comunista?
«È cristiano». ● Nel 2007 disse che voleva portare la mummia di Lenin in Italia: «Era solo una battuta pronunciata sulla piazza Rossa di Mosca con un freddo polare»