Corriere della Sera

«Linea verde con Ancelotti c.t. E un’altra occasione per Balotelli»

Pablito e la crisi azzurra: «Inutile pretendere di battere l’argentina, ci vorrà tempo»

- Gaia Piccardi

Ex bomber

● Paolo Rossi (foto), 61 anni, è nato a Prato. Dopo Como, Vicenza e Perugia, ha giocato nella Juve, nel Milan e nel Verona

All’italietta di Gian Piero Ventura, alla compagnia dei celestini di Gigi Di Biagio e pure all’italia che sta per nascere (annunciazi­one del nuovo c.t. entro il 20 maggio), sarebbe servito un attaccante così. Rapido come un’intuizione, furbo più di una faina, quasi più bravo senza palla che con, sempre in levare tipo un pezzo di jazz acido. Da trentasei anni (Mundial ‘82, capocannon­iere), e per sempre, Paolo Rossi.

Da campione del mondo ha vissuto la mancata qualificaz­ione al Mondiale in Russia come un vilipendio?

(ride) «Non esageriamo. Ci sono rimasto male: è una situazione che abbiamo subito tutti. Che senso ha un Mondiale senza Italia? Al di là di un torneo che non ci vedrà protagonis­ti e dell’indotto mancato, a me spiace soprattutt­o per i ritrovi davanti alla tv, quel modo di vivere l’estate che il Mondiale porta sempre con sé. Mi dispiace per la gente, insomma. Sono fatto così: da attaccante, quando segnavo, il primo pensiero correva alla felicità che avevo regalato ai tifosi».

Vede una responsabi­lità più di Ventura o della squadra?

«L’insuccesso è sempre un mix di cose che non hanno funzionato. E poi la Nazionale è frutto di cicli, di generazion­i. Questo è stato meno fortunato. La verità è che non siamo stati in grado di sostituire i grandi campioni: Pirlo, Totti, Del Piero…».

Parliamone.

«Oggi di calciatori in giro di quella qualità non ce Ventura ma non solo Tecnico o squadra? L’insuccesso è sempre un mix di cose che non funzionano. La verità è che non siamo stati capaci di sostituire Pirlo, Totti, Del Piero

Apertura a Balotelli A patto che dimostri di valere un certo tipo di continuità, un’altra chance gliela darei. In quel caso il recupero di Mario dovrebbe essere nell’agenda del futuro c.t.

Pazienza con Buffon Nessuno può dire a Gigi: vai in panchina. E poi Zoff ha giocato e vinto fino a 40 anni. Arriverà il momento di lasciare per sempre la Nazionale: sarà lui a decidere

ne sono. Soprattutt­o in mezzo al campo. Però il tempo stringe: in otto o nove mesi va trovato il nuovo leader».

Innanzitut­to va trovato commissari­o tecnico. Iniziamo dai giovani.

il

«A me piace molto Carlo Ancelotti. Ha il profilo giusto: una grande esperienza, la capacità di vincere ovunque, uno spessore internazio­nale, sa gestire i giovani e parlare con i veterani. Se fossi il presidente della Federcalci­o, chiamerei lui».

E da dove gli direbbe di ricomincia­re?

«Dalle fondamenta. Dai giovani, però con giudizio perché da soli non bastano. La rinascita passa anche dai calciatori esperti».

«Chiesa, Pellegrini, Cutrone e gli altri... Vanno dosati, piano piano, nella maniera giusta. Siamo abituati bene, a volere tutto e subito. Che la mancata qualificaz­ione ci serva da lezione: per reimparare a vincere ci vorrà tempo. I giovani vanno fatti crescere».

La politica dei piccoli passi.

«Gli Europei 2020: il programma deve essere capire dove si può arrivare in due anni. Non si può pensare di battere domattina il Brasile o l’argentina».

A proposito di giovani o ex giovani: dove si pone Paolo Rossi nel dibattito filosofico su Mario Balotelli?

«Lo dico? Io un’altra chance gliela darei. A patto che dimostri di valere un certo tipo di continuità. In quel caso il recupero di Mario dovrebbe essere nell’agenda del c.t.».

Buffon è un totem da cui si può prescinder­e?

«È chiaro che è difficile per chiunque dire a Gigi: oggi stai in panchina. E poi Zoff ha giocato e vinto fino a quarant’anni! Arriverà il momento di lasciare per sempre anche l’azzurro, ma sarà Buffon ad accorgerse­ne».

Lei come se ne rese conto?

«L’ultimo anno, a Verona. Era il 1987 e giocavamo contro la Sampdoria. Arriva questa palla lunga, la inseguo e zum, un ventenne blucerchia­to mi passa davanti come un treno. Neanche mi ricordo più come si chiamava… Fu il campanello d’allarme».

Una vita da centrattac­co, come si diceva una volta. Il gol capolavoro?

«Mondiale ’82, naturalmen­te. Il primo e l’ultimo: quello dell’1-0 contro il Brasile mi aprì ogni porta, la gente mi ferma per strada ancora oggi; quello in finale alla Germania fu un’esperienza mistica: non ci capivo più niente…».

Quest’estate va in vacanza, quindi?

«Sono deluso, come tutti, ma il Mondiale lo seguirò lo stesso. Dal vivo, a Mosca. Certo senza Italia lo vivrò in modo diverso, più distaccato. Senza pathos. Però resta un Mondiale, va visto».

E chi lo vince?

«Prevedo una finale tra Brasile e Spagna, con un occhio sempre alla Germania. Lo dico per esperienza».

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 ??  ?? ● Bomber al Mundial ‘82 (6 reti di cui 3 al Brasile e 1 alla Germania in finale), oggi è commentato­re di Mediaset Premium
● Bomber al Mundial ‘82 (6 reti di cui 3 al Brasile e 1 alla Germania in finale), oggi è commentato­re di Mediaset Premium
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