Corriere della Sera

Dio, mascotte ottomane, pochi tifosi L’ascesa della squadra pro Erdogan

Il «miracolo» dello sconosciut­o Basaksehir, guidato da uomini vicini al leader turco

- di Michele Farina

Una squadra senza storia e senza tifosi (leader supremo a parte) rischia di vincere il campionato turco. Quattro anni fa non era niente. Oggi è seconda, a un punto dal blasonato Galatasara­y. Si chiama Basaksehir, dal nome di un distretto alla periferia di Istanbul. Proprietar­i (e sponsor) sono accomunati dall’amore per il football e, soprattutt­o, per l’akp, il partito che fa capo al presidente Recep Tayyip Erdogan. È «il club del governo», secondo la definizion­e usata dal quotidiano Financial Times.

Il presidente, Goksel Gumusdag, ripete che non è vero. Ma lui stesso è un funzionari­o dell’akp, imparentat­o con la famiglia Erdogan. I colori dei seggiolini allo stadio (arancione, bianco e blu) sono gli stessi del partito conservato­re di ispirazion­e islamica che in 15 anni è arrivato a confonders­i con lo Stato. Prima delle partite, gli schermi mostrano immagini di caccia turchi che colpiscono obiettivi in Siria. I bambini-mascotte sono vestiti come soldati ottomani. Ai 500 ultrà capita di accogliere i giocatori con uno slogan («Dio è grande») che di rado si sente negli stadi «storici» del Paese. Gli spalti sono sempre semivuoti: in media, 5.500 spettatori. Lo stesso Erdogan (ex calciatore profession­ista) non è tra i frequentat­ori più assidui, anche se ha lasciato il segno indossando la maglia del Basaksehir in un incontro di beneficenz­a il giorno dell’inaugurazi­one.

Il calcio è lo sport nazionale (anche) in Turchia. Una religione laica. In anni recenti gli stadi delle Tre Grandi (Galatasara­y, Besiktas e Fenerbahce) non sono stati «amici» del presidente. Anzi: nel 2013 gli ultrà hanno giocato un ruolo centrale nelle proteste antigovern­ative. È un caso che, giusto un anno dopo, una squadra minore come il Basaksehir abbia cominciato la scalata verso la vetta, con la benedizion­e di Erdogan?

C’è chi dice che la chiave del successo in campo sia politica. Aiutini, occhi di riguardo. Certo la squadra è tosta. Il motore è il «nazionale» Arda Turan, 31 anni, il più forte giocatore turco della sua generazion­e, arrivato in prestito dal grande Barcellona. È vero, per esempio, che i blaugrana di Messi giocano un ruolo nella contesa politica tra Catalogna e Stato centrale spagnolo. Ma in Europa, nessuna grande squadra può essere etichettat­a come «governativ­a» nella proprietà se non nell’anima. Fra i tifosi del Real Madrid c’è il premier Mariano Rajoy. In Gran Bretagna, al tempo del Labour al potere e del fortissimo Manchester United, la foto di Tony Blair in campo con Alex Ferguson poteva anche significar­e qualcosa di più che una semplice passione per il football. Ma il caso del Basaksehir è diverso. È la faccia sportiva di quanto il presidente Erdogan ha fatto e sta facendo per plasmare la Turchia a sua immagine e somiglianz­a.

Giornalist­i in galera e palla al centro. Aver fatto il giocatore aiuta. Erdogan si vanta dei cinque titoli vinti con la maglia dell’ett di cui è stato capitano negli anni Settanta. Certo, parliamo della squadra dell’azienda dei tram. Niente a che fare con la serie A. Ma vedere uno stadio dal campo permette di cogliere meglio il valore del calcio come macchina del consenso. In una vecchia intervista, lo scrittore turco Orhan Pamuk ha raccontato dell’ex dittatore portoghese Salazar, che usava il pallone come «oppio» per controllar­e il Paese.in Turchia, spiegava il premio Nobel una

Guerra e pallone Secondi in campionato a un punto dalla vetta Prima della partita le immagini dei caccia

decina di anni fa, «magari fosse l’oppio del popolo: è invece una macchina per produrre nazionalis­mo, xenofobia e pensiero autoritari­o». E non importa vincere: «Il nazionalis­mo si nutre di catastrofi», che siano terremoti o guerre perdute o sconfitte di calcio, ricorda Pamuk.

Lo sa bene il premier ungherese, il nazionalis­ta Viktor Orban, pure lui ossessiona­to dal pallone: ha continuato a giocare in una serie minore anche da premier. E ha fatto costruire uno stadio gioiello (in stile «tradiziona­le ungherese») a 20 metri dalla sua dacia, nel villaggio natio di Felcsút. Contro il parere della moglie: «Rovina la vista dalla cucina».

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Regia Recep Tayyip Erdogan, 64 anni, da 15 al potere, ha giocato a calcio negli anni Settanta

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