Chiara che legge i libri agli sconosciuti per le strade di Torino
Basta un libro. Meno: una pagina o anche soltanto una frase. Basta poco per «rompere il muro dell’indifferenza», obiettivo che si è data Chiara Trevisan, artista di strada torinese protagonista della storia di copertina del prossimo numero di Buone Notizie, l’inserto gratuito settimanale in edicola martedì con il Corriere. Gli attrezzi di Chiara sono una bicicletta e tanti volumi messi ordinatamente nel cestino.
Il suo ufficio, diciamo così, è piazza Carignano, dove l’artista aspetta che qualcuno abbia voglia di fermarsi. Si può pescare un titolo dal cestino, oppure è Chiara a farsi ispirare dall’incontro. Lei scorre le righe e chi ascolta ha la possibilità di riconciliarsi per un attimo con se stesso e con il mondo. Se Chiara legge, Cristina Fazzi invece opera: siciliana della provincia di Enna, era arrivata nello Zambia per caso a sostituire una collega per un semestre. Sono passati diciotto anni e Cristina è ancora là: «La povertà che ho incontrato mi ha scossa e ho capito che quello era il mio posto», spiega. Anche a costo di rinunciare alla carriera e al posto di lavoro ben retribuito, qui in Italia.
E poiché la vita è imprevedibile, in quella di Cristina è entrato a un certo punto Joseph, un orfano che aveva bisogno di cure e di amore. La dottoressa non si è limitata a dargli medicine e attenzioni e ha avviato le pratiche per l’adozione.
Una volta ottenuto il riconoscimento, ha voluto che anche la legge italiana accettasse questa adozione: e al termine di una lunga battaglia a base di carte bollate, Cristina Fazzi ha ottenuto il riconoscimento anche in Italia, ai sensi di quanto prevede la legge 184/83 per casi particolari come questo.
Buone Notizie racconta poi l’impresa degli studenti italiani selezionati dal ministero dell’istruzione che, nei giorni scorsi, sono andati in trasferta a Dubai per partecipare ad un contest organizzato Cos’è
● «Buone notizie» è l’inserto gratuito che esce ogni martedì con il «Corriere della Sera»
● Nelle pagine dell’inserto trovano spazio storie di donne e uomini, volontari, cooperative e imprese sociali, fondazioni e aziende, nuove professioni nell’ambito del Global Teacher Prize: assieme ai coetanei di tutto il mondo hanno dato vita alla più grande simulazione negoziale fra studenti, e i giovanissimi del gruppo italiano sono riusciti a conquistare il secondo posto costruendo relazioni e negoziati.
L’inchiesta di questa settimana è infine dedicata alla cooperazione internazionale: cala soprattutto in Italia la fiducia nelle ong e di conseguenza diminuiscono le donazioni. Una situazione che, al di là dei singoli casi, impone una riflessione complessiva sui temi della trasparenza e della reputazione. Perché il mondo della cooperazione continui a essere protagonista di buone notizie.
Giovani in gara L’impresa degli studenti italiani al mondiale di «simulazione negoziale» che si è svolto a Dubai
coazione a ripetere la narrazione del peggio, che tradizionalmente nella stampa «tira» di più, in ottemperanza alla famosa regola dell’uomo che morde il cane.
Qui il morso che fa davvero male è quello dell’opacità, l’ostinazione della sfiducia. Se per il filosofo francese Montaigne «fidarsi della bontà altrui è una prova non piccola della propria bontà», non fidarsi sarebbe una prova della propria malafede. Il libro di Schiavi non si accontenta di mettere in fila le «storie di piccoli eroi che trasformano il mondo» e di narrarle con delicatezza. Quella dell’angelo invisibile di Milano che nell’anonimato da vent’anni offre soccorsi economici a chi ha bisogno di sostegno, a una pensionata, a una madre disoccupata, alla famiglia di un bambino cardiopatico e a tanti altri, creando la fondazione «Condividere» e collaborando con la Caritas milanese e con la Casa di don Colmegna. La storia del piccolo imprenditore di Adro che ha scritto una lettera aperta per dire «Io non ci sto» quando il sindaco minacciava di lasciare senza pasto i 40 bambini stranieri le cui famiglie non potevano pagare la mensa. Il miracolo del Rione Sanità, dove don Antonio Loffredo nel 2005 ha salvato gli «scugnizzi» dalle insidie della strada coinvolgendoli nella risistemazione delle catacombe della basilica di San Gennaro. L’esempio del dottor Momcilo Jankovic, il medico che accompagna i bambini leucemici lungo il ponte della malattia e con un sorriso insegna loro a reagire e a rialzarsi. E la vittima del terremoto che diventa soccorritore; la contadina emiliana che porta una speranza di futuro nel paese dell’appennino da cui i giovani vorrebbero fuggire; la rivincita del dipendente contro la stupidità manageriale che aveva chiuso l’azienda. E si potrebbe continuare con altre storie che ribaltano in intelligenza costruttiva lo stereotipo italico della passività lamentosa.
Storie che oltre a commuoverci (non guasta) vogliono farci riflettere sulla responsabilità individuale: e per questo dovrebbero essere lette
Società del sospetto Siamo così sospettosi della bontà che per tenerla a distanza parliamo di buonismo
nelle scuole, dove i ragazzi cercano modelli non banali di speranza. Eccola là, un’altra parola chiave: «responsabilità». La pronunciano diversi tra i «testimonial» chiamati nel libro a darci una loro versione dell’accoglienza, della generosità, della resistenza, della resilienza, della condivisione, dell’alleanza contro il dolore, dell’ascolto... Sono voci di professionisti che ammiriamo («ammirazione», altra parola-chiave): il regista Ermanno Olmi, la poetessa Vivian Lamarque, la psicologa Lella Ravasi, il sociologo Nando Pagnoncelli, la giornalista Isabella Bossi Fedrigotti, l’architetto Renzo Piano che ci parla di «periferia» come metafora utile per il futuro. E Fulvio Scaparro, lo psicoterapeuta che invita a pensare più spesso: «Mi riguarda».