«Conservo i miei tre Oscar su una mensola dell’ikea Per Fellini inventavo i sogni»
Da Pasolini a Scorsese: «Il Dalai Lama disegnò per me»
M aestro Dante Ferretti, dove tiene i tre Oscar vinti per la scenografia di «Hugo Cabret», «Sweeney Todd» e «The Aviator»?
«Nella casa di Roma, su una mensola Ikea, insieme ai tre che mia moglie Francesca Lo Schiavo ha vinto con me, e a cinque Bafta, 14 Nastri d’argento, quattro David».
«C’è da arrossire. Posso solo dire che faccio il mio lavoro da 50 anni più Iva e ne sono ancora innamorato».
E che effetto le fa essere nell’enciclopedia Treccani come uno «scenografo fra i più brillanti del mondo, dalle intuizioni geniali»? È anche considerato «sostenitore un’estetica del meraviglioso». di
«Penso sempre in grande, sono megalomane e massimalista e, per ogni film, mi calo nei panni di un architetto dell’epoca come un attore che applica il metodo Stanislavskij. Non copio, non mi ispiro, ma proprio vivo calato nello spirito del tempo e immagino con lo stupore e l’ambizione di un uomo di allora. Ho un periodo preferito, però: gli anni 40, l’architettura fascista, sebbene io non sia fascista».
Lei è del 1943, ha memorie di quegli anni?
«Sono nato a Macerata, che fu bombardata quando avevo un anno. Casa mia crollò, papà perse una gamba, io restai sotto le macerie per due giorni. Mi salvai perché finii sotto una scala e mia madre non smise mai di scavare».
Suppongo che gliel’abbiano raccontato, ma non lo ricordi.
«È qualcosa che vedo e rivedo perché ancora lo sogno, ogni volta in modo diverso. Di uguale ci sono sempre io che mi muovo dentro un buco e cerco aria che entra dalle fessure. Da allora, soffro di claustrofobia. Gli ambienti chiusi, piccoli, scuri, mi danno angoscia».
Per questo è celebre per le scenografie gigantesche?
«Credo di sì. Mi sono liberato e vivo come vive una persona che è libera perché sa come è morire. In quel buco nero, ho aperto l’immaginazione. Già da piccolissimo, rubavo i soldi dalle tasche di papà per andare al cinema tutti i pomeriggi. Non studiavo, venivo sempre rimandato.