Il sogno infranto della pay tv «made in Italy»
Quando Sky entrò sul mercato italiano l’antitrust europeo, trattandosi di un gigante mondiale, stabilì una serie di vincoli. Che si sono rivelati molto meno efficaci di quanto appariva nel lontano 2003. Condizioni e paletti che oggi sembrerebbero più adatti a una start up che non a un colosso. Ma andò così, e per Mediaset la battaglia con il magnate australiano Rupert Murdoch è stata spesso in salita. Fatta di concorrenza e sfide. Fino all’accordo di venerdì. La pace dei «nove canali» avrà l’effetto di aumentare l’offerta per i clienti di Mediaset premium e di Sky, ma soprattutto ridisegna il panorama della tv a pagamento in Italia. Un’avventura iniziata nel 2005 per il gruppo di Cologno Monzese, con ambizioni molto più ampie. Poi le difficoltà. Fino a quel patto per la cessione con i francesi di Vivendi. Un’operazione dalla quale Vincent Bolloré si è sfilato all’ultimo momento nel 2016 e per la quale è in corso una maxicausa giudiziaria.
La partita doveva essere un’altra. La pay tv, nei piani, doveva consentire a Mediaset altri risultati rispetto a quelli che sono arrivati. A un certo punto, la valutazione era stata superiore al miliardo di euro, ora bisognerà vedere quali potrebbero essere le condizioni per la cessione, prevista come opzione entro dicembre, dagli accordi appena siglati. Una cosa sembra evidente, la concorrenza con Sky è stata tremendamente difficile e se da un lato questa soluzione mette in difficoltà Vivendi, dall’altro per Mediaset non può considerarsi proprio una vittoria. Un buon negoziato sì, ma a guardarlo bene rappresenta un addio al sogno di creare un pay tv tutta made in Italy in grado di battere il gigante. Che a sua volta, a dicembre, ha dovuto cedere pezzi del suo impero a un altro gigante, più grande, la Disney. La guerra dei contenuti e della tecnologia, ormai, si combatte così.