Troppi diritti fanno male all’italia
Alessandro Barbano indaga il declino del Paese: merito e doveri hanno perso valore
«La malattia dei diritti spiega il declino italiano». L’indagine di Alessandro Barbano, direttore de «Il Mattino» di Napoli, parte da qui. Il suo libro, Troppi diritti. L’italia tradita dalla libertà (Mondadori), è un’analisi lucida di una condizione di degrado culturale e politico in cui ha perso valore il merito, in favore di molti diritti senza doveri.
Quando «i diritti diventano meri poteri», infatti, appare giusto tutto ciò che è possibile. I diritti prevalgono sui doveri, sostituiti da crescenti pretese soggettive che arrivano ad offuscare gli obblighi di ogni cittadino, considerati persino antidemocratici: è opinione comune che la meritocrazia sia in contrasto con la democrazia.
Partendo da una lettura scorretta della Costituzione, osserva Barbano, si fa largo la possibilità di ottenere una libertà sconfinata, pretendendo sempre nuovi diritti, finora non contemplati dalla legge o dalle consuetudini.
Ciò comporta una perdita di autorità, che non si limita all’indebolimento della figura paterna, ma coinvolge l’intero sistema dei valori e lo svilisce. L’assenza di valutazione sembra cancellare le differenze, ma in realtà le esalta. Compiacere i desideri altrui per ottenerne il consenso è alla base di ogni populismo e non è un caso che i movimenti di quel genere riscuotano oggi tanto favore.
Per Barbano la nuova categoria del «dirittismo» è figlia di una sinistra orfana di un’ideologia autorevole e perciò condannata a ricercare altrove forme di rassicurazione collettiva. Il richiamo ai diritti è un catalizzatore di consensi, capace di sollevare l’indignazione pubblica e richiamare princìpi etici apparentemente indiscutibili, dietro cui si nascondono interessi non certo universali.
Il primo sintomo è la crisi della delega, che sta alla base della sovranità politica e della democrazia parlamentare, nella quale i rappresentanti dei cittadini sono eletti senza vincolo di mandato. Alla delega si è sostituita la suggestione della democrazia diretta e dell’autodeterminazione, dove «uno vale uno» ed emerge non tanto chi ha maggiore merito e maggiore competenza, ma chi si propone, sa destreggiarsi meglio all’interno del gruppo e raccoglie più like.
La massa prevale ideologicamente, benlezze ché priva di un’idea portante, che non sia quella di protagonismo. Non più una massa oppressa dallo Stato autoritario, abituata a obbedire a una comunicazione univoca, ma svincolata da ogni potere, che vaga senza direzione in un universo liquido.
Anche le scienze sociali hanno la loro parte di responsabilità. «La sociologia — scrive Barbano — che ha rinunciato a essere pensiero critico e si è ridotta a “valutazione”, ha finito per soggiacere a poteri che la usano nel peggiore dei modi». In realtà è proprio perché la sociologia moderna ha rinunciato a essere valutativa che ha tralasciato il merito. La sociologia che ha prevalso finora seguiva l’impostazione fornita da Max Weber: l’esclusione di ogni valutazione e di giudizio di merito, nell’assoluto convincimento che solo l’obiettività dell’osservatore (non implicato nel processo) possa garantire la scientificità dei risultati.
Un proposito in buona fede, che però ha prodotto una scienza preda facile di poteri occulti e di abili manipolatori politici. Rinunciando di fatto — come ha scritto Luciano Gallino in uno dei suoi ultimi lavori — proprio allo «spirito critico». Mancanza a cui ha cercato di porre rimedio Zygmunt Bauman, l’ultimo grande sociologo della modernità, che conclude la secolare impostazione weberiana, riconducendo la sociologia alla sua originale matrice, richiamata da Barbano, di critica della società.
La denuncia appassionata di questo libro non risparmia quegli «accademici votati alla supremazia di un’élite che maschera, dietro la censura delle manchevo- altrui, una sottile vocazione antidemocratica». L’obiettivo «è quello di indebolire la politica, consolidando un movimento civile trasversale ai partiti e portatore di una precisa visione della società». Una società — è la conclusione — a cui manca il riferimento a una sovranità indiscussa.
Di fronte a questo sfaldamento generalizzato, Alessandro Barbano auspica il recupero della sovranità perduta. In effetti il rifiuto dell’idea stessa di sovranità è uno dei tratti distintivi di una modernità in declino. È infatti sempre più difficile ricondurre la tecnica sotto il dominio della politica. La tecnica innovativa sfugge ai controlli e si presta a essere cavalcata dai movimenti populisti che la gestiscono irresponsabilmente, modificando e contraddicendo finalità e posizioni di principio, secondo la ben nota modalità di ogni social: vivere momento per momento, senza memoria né coerenza.
Atto d’accusa Secondo Barbano la nuova categoria del «dirittismo» è anche figlia di una sinistra orfana di un’ideologia autorevole