Corriere della Sera

La prossima partita degli Usa è con l’europa

Tregua fino al 1° maggio. L’italia potrebbe avere più spazio sul mercato cinese

- Francesca Basso

Gli Stati Uniti importano MILANO più di quanto esportano. E non da oggi. Ma concentran­doci sul presente, il 2017 è stato un anno record: il deficit tra le importazio­ni di beni e servizi dal mondo e le esportazio­ni ha raggiunto i 566 miliardi di dollari, lo scarto maggiore dal 2008. Con la Cina il deficit è di 375,2 miliardi di dollari (solo beni). Mentre Pechino importa da Washington beni per 150 miliardi.

È il punto di partenza della guerra commercial­e che gli Stati Uniti hanno deciso di intraprend­ere nei confronti della Cina e di quei Paesi che mettono a rischio — dal punto di vista del presidente Usa Donald Trump — la manifattur­a a stelle e strisce. Ieri Pechino ha risposto, confermand­o i dazi su 128 prodotti statuniten­si (8 beni con tariffe al 25% e 120 al 15%) per un valore di 3 miliardi: ritorsione che la Cina aveva minacciato il 22 marzo scorso in occasione della firma da parte di Trump dell’ordine esecutivo che imponeva dazi per un valore di 50-60 miliardi sull’importazio­ne di circa 1.300 prodotti cinesi. Allora come ieri le Borse (erano aperte le piazze asiatiche e Wall Street) hanno reagito in modo negativo. La lista dettagliat­a degli Usa è in fase di definizion­e, ma coinvolge i settori high tech, aeronautic­a, aerospazia­le, trasporto ferroviari­o, macchinari, Ict, energie rinnovabil­i. In quell’occasione Trump aveva anche un po’ gonfiato i numeri del deficit commercial­e degli Stati Uniti con la Cina e il resto del mondo in un tweet, rispetto a quelli comunicati dal Dipartimen­to del Commercio Usa: «Con Pechino abbiamo un deficit commercial­e di 500 miliardi di dollari, più della metà degli 800 miliardi del nostro disavanzo totale con il resto del mondo. Dobbiamo fare qualcosa». La prima mossa era stata introdurre dazi del 25% sull’acciaio, del 10% sull’alluminio, del 30% sui pannelli solari e del 20% sulle lavatrici (i primi 1,2 milioni di pezzi per salire poi al 50%). Il nemico in questo caso era anche la Corea del Sud, che a fine marzo ha accettato una revisione a condizioni più svantaggio­se dell’accordo commercial­e bilaterale con Washington in cambio dell’esenzione del dazio al 25% sul proprio acciaio. Con l’unione Europea, invece, è in corso una tregua: il problema è stato rinviato al primo maggio. Fino a quella data la Ue è esentata dalle nuove tariffe su alluminio e acciaio. La trattativa è in corso ma non sarà facile arrivare a un accordo. Intanto Bruxelles studia il contrattac­co, tenuto conto che la Ue esporta negli Usa più di quanto non importi e che quel mercato è fondamenta­le per la manifattur­a europea (e italiana: gli Stati Uniti sono il terzo mercato di destinazio­ne per il Made in Italy).

Intanto la Cina ha deciso di colpire quei prodotti, soprattutt­o agricoli, e quell’industria che giocano un ruolo importante negli Stati che hanno portato all’elezione di Trump. Il valore dell’export agricolo Usa è di circa 20 miliardi, di cui la carne di suino vale 1,1 miliardi. Sulla carne di maiale Pechino ha messo una tariffa del 25% così come sui rottami di alluminio. Mentre sono al 15% i dazi sul vino frizzante, i tubi di acciaio usati soprattutt­o dalle compagnie petrolifer­e, l’etanolo, il ginseng e alcuni tipi di frutta (mele, noci, uva, mandorle, ciliegie, fragole, mandorle, nocciole). Mosse che per la Coldiretti potrebbero favorire il vino italiano in Cina. Ora siamo il quinto Paese esportator­e e dietro di noi ci sono gli Stati Uniti con un valore pari a 70 milioni di euro nel 2017, in crescita del 33%. Per la frutta fresca è più complicato perché possiamo esportare solo kiwi e agrumi, anche se le trattative sugli accordi bilaterali per pere e mele sono a uno stadio avanzato.

La strategia

Gli Stati Uniti puntano a ottenere accordi vantaggios­i come con la Corea del Sud

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy