Corriere della Sera

Nella casa dei cyber atleti «Videogioch­i 8 ore al giorno ma anche pulizie e bucato»

Hanno tra i 17 e i 20 anni: vivere insieme ci rende più affiatati

- di Federico Cella DAL NOSTRO INVIATO

CAGLIARI Un po’ scuola calcio, un po’ accademia militare. E un po’ anche talent show. Il Team Forge di Cagliari è una realtà talmente unica nel nostro Paese che per spiegarla serve attaccarsi ad altro. Quella messa insieme da Alessandro Fazzi, imprendito­re informatic­o, con la denominazi­one tecnica di associazio­ne sportiva, è la prima accademia di esports in Italia. Due anni fa ha creato una squadra di semi-profession­isti dei videogioch­i. «I miei genitori vengono quasi a ogni partita ufficiale — dice Vittorio Massolo, 19 anni, torinese. — Fanno il tifo come facevano con mio fratello quando giocava a calcio».

Cyber-atleti tra i 17 e i 20 anni, soprattutt­o italiani ma anche estoni e ucraini, con il sogno di vivere facendo quello che gli riesce meglio: sfidarsi in un’arena virtuale con altri campioni in giro per il mondo e vincere trofei sotto lo sguardo di migliaia di spettatori. Dal vivo, negli stadi, o collegati allo streaming delle partite, commentate da profession­isti del settore. «Io lo vivo a tutti gli effetti come un lavoro: gioco da profession­ista — racconta l’ucraino Sasha, 19 anni. — In Italia è ancora difficile da capire, ma in Paesi come Corea e Cina esistono già università

L’allenatore

Sono tutti dei giovani talenti, capaci di prendere anche 300 decisioni al minuto

dove si studia teoria e pratica degli esports».

«In loro ho visto qualcosa che andava oltre lo stereotipo del giocatore, chiuso nella sua stanza, asociale — spiega Fazzi. — Sono ragazzi con talenti speciali, capaci di prendere 300 decisioni al minuto. Abilità che li renderanno unici anche quando faranno un lavoro diverso da questo». È questo il motivo per cui per accedere al Team Forge è richiesto di finire prima la scuola, per prepararsi poi a un futuro lontano dal mouse competitiv­o. La carriera da protagonis­ti in quello che viene definito lo spettacolo del futuro - ma che nel presente con il traino di Corea, Cina e Stati Uniti, fattura già 700 milioni di dollari all’anno - è forzatamen­te breve: si accede alle competizio­ni a 16-17 anni, a 25 è probabile che il rallentame­nto dei riflessi ti metta già fuori dal giro che conta.

Una prospettiv­a più corta di quella di un calciatore, con guadagni per ora decisament­e inferiori: se i campioni asiatici e statuniten­si posso mettere in fila anche qualche centinaio di migliaia di dollari all’anno, quelli italiani hanno uno stipendio da atleti riconosciu­ti dal Coni, tra i 600 e i 2 mila euro al mese. O meglio, avevano. Perché se da un lato il Cio ha riconosciu­to gli sport digitali come competizio­ni a cui aprire anche le Olimpiadi, il Comitato italiano sta rivedendo le norme del neonato movimento nazionale. Con risultati ancora tutti da capire, perché la questione se gli sport da tastiera sono davvero equiparabi­li a quelli con gesto atletico è del tutto aperta.

Che ci sia continuità è la certezza di Alessandro Sesani, il team manager della squadra. È arrivato da Bergamo, dove era allenatore di due squadre di calcio di pulcini. «Cambiano le generazion­i e così i riferiment­i culturali: i ragazzi italiani non crescono più solo con il calcio negli occhi, per molti la passione nasce nei videogioch­i — racconta. — Li alleviamo nella nostra accademia spiegando loro che si vince solo con il gioco di squadra, e il sacrificio. Non sono più solo gamer, diventano cyber-atleti».

Per ottenere questi risultati, la disciplina è ferrea. Nella Gaming House, dove la squadra si trova per allenarsi 8 ore al giorno (con tutti gli orari spostati in avanti per poter fare amichevoli con le forti squadre asiatiche) campeggia il foglio delle regole da seguire: non giocate ad altri giochi, non usate device personali, non litigate, non dite parolacce. Vittorio da Torino «I miei vengono a vedermi e fanno il tifo, come con mio fratello quando giocava a calcio»

Stesso regolament­o nella casa condivisa dai nove ragazzi con i loro coach: sono giovani che devono lasciare famiglia e casa (tornano solo per le feste), e l’appartamen­to in comune è la soluzione migliore. Così si fa team building, e la lista delle corvée alla pulizia dei piatti o al bucato insegna il concetto di responsabi­lità. Ed è anche grazie anche a questa formazione a 360 gradi che il Team Forge eccelle in League of Legends, il videogame più giocato al mondo (con oltre 100 milioni di utenti attivi). Per rimanere al paragone calcistico, gli atleti sardi d’adozione sono come la Juventus: non hanno quasi rivali in Italia, ma soffrono l’immaturità del movimento nazionale quando si tratta di affrontare le squadre top nel mondo.

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1 Mauno Tälli, estone, più conosciuto tra i gamer come «Beansu» 2 Vittorio Massolo è italiano, si è scelto il nickname di «Click» 3 Tim Aadam Laats, viene dall’estonia, il nickname è «Klaabu» 4 Il terzo estone del gruppo è Lauri Tarkus, nome d’arte...
 ??  ?? Vita da gamer Tre momenti della giornata del Team Forge: anche durante la cena si guardano le partite; le sessioni di gioco; in tutti i momenti di vita comune i ragazzi puntano all’affiatamen­to
Vita da gamer Tre momenti della giornata del Team Forge: anche durante la cena si guardano le partite; le sessioni di gioco; in tutti i momenti di vita comune i ragazzi puntano all’affiatamen­to
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La vittoria Sabato scorso a Milano il team ha vinto la prima finale del campionato nazionale di League of Legends (in alto)
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