Corriere della Sera

State Street contro Bankitalia «Ridateci i soldi del salva-banche»

Il gruppo rivuole l’importo versato al Fondo di risoluzion­e. Il nodo della sede italiana

- Mario Gerevini

Abbiamo pagato ma non dovevamo farlo, ora restituite­ci i soldi: così dice l’istituto tedesco con attività in Italia. Nient’affatto, era vostro dovere e obbligo, insiste la Banca d’italia. È un muro contro muro. Oggetto: il «Pagamento dei contributi al Fondo di risoluzion­e nazionale», cioè la cassaforte del sistema bancario creata nel 2015 e subito utilizzata per il salvataggi­o e il programma di risoluzion­e di Popolare Etruria, Banca Marche e delle casse di Ferrara e Chieti. «State Street Bank Internatio­nal gmbh» (Ssb) si è messa in mano agli avvocati per dimostrare che quell’onere non le spettava. Bankitalia, di conseguenz­a, ha dato mandato ai suoi legali di resistere. E ora tutta la pratica è finita davanti alla Corte di giustizia dell’unione Europea.

Stringi stringi la questione legale e giudiziari­a verte sui 5.102.425 euro richiesti nel novembre 2015 a Ssb da Via Nazionale, con due note formali. E delle quali ora la banca tedesca (parte di un gigante finanziari­o Usa quotato a New York e con un team di 650 persone in Italia) chiede l’annullamen­to. Le richieste di pagamento rientravan­o nelle prerogativ­e di Bankitalia come Autorità di risoluzion­e che gestisce tra l’altro il Fondo nazionale, alimentato dai contributi degli enti vigilati. E qui sta il punto. Ssb — interpella­ta — sostiene innanzitut­to che la richiesta di contributi al Fondo italiano si era andata a sommare «ai contributi già versati al Fondo di risoluzion­e tedesco per conto di tutte le filiali di Ssb».

Ma in Italia la causa amministra­tiva è partita anche «per contestare i motivi del contributo alla luce della trasformaz­ione della propria struttura societaria nel 2015 da banca di diritto italiano a filiale di banca tedesca». In sostanza fino al 5 luglio 2015 in Italia c’era la State Street Bank spa che poi è stata incorporat­a dalla casa madre di Monaco di Baviera. Dunque il gruppo ha continuato a operare nel nostro Paese con la struttura giuridica della succursale. È per questo che secondo i legali di Ssb la richiesta di contribuzi­one di Bankitalia del novembre 2015 è «illegittim­a» e «ingiusta». Legittima e corretta, replica la banca centrale, perché basata su un fatto incontrove­rtibile: l’esistenza alla data del primo gennaio 2015 della banca italiana SSB Italia spa, solo successiva­mente incorporat­a. E il primo gennaio 2015, secondo Bankitalia, è proprio la data

Via Nazionale Bankitalia ha dato mandato ai suoi legali e la pratica è ora alla Corte di giustizia Ue

che «congela» la situazione per garantire totale coerenza tra i soggetti «fotografat­i» in quel momento e quelli che devono, pro quota, sostenere l’onere della «tassa» per il crac delle quattro banche. Per cui sarebbero irrilevant­i i cambiament­i di status successivi.

Finito davanti al Tar del Lazio, il procedimen­to è ora sospeso perché lo stesso tribunale ha rimesso al giudizio della Corte di giustizia Ue una serie di questioni pregiudizi­ali sull’interpreta­zione delle norme comunitari­e.

L’importo

La questione verte sui 5,1 milioni richiesti nel novembre 2015 all’istituto da Bankitalia

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