Corriere della Sera

MA GUIDARE UN PAESE È DIFFICILE

- di Sabino Cassese

Le forze politiche che il risultato elettorale ha candidato al governo e che si dichiarano pronte ad amministra­re il Paese, sono anche preparate per farlo? Nessuna delle due, la nuova Lega e il M5S, ha avuto precedenti esperienze di governo. Inoltre, la loro rappresent­anza parlamenta­re è composta in larghissim­a misura di uomini alla loro prima esperienza di politica nazionale: il 73 per cento dei 5S e l’86 per cento dei leghisti non era deputato o senatore nella precedente legislatur­a.

Tuttavia, se ambedue le forze politiche hanno un numero molto alto di parlamenta­ri alle prime armi, c’è una differenza tra le due. Se il 65 per cento dei 5S non ha avuto precedenti incarichi politici o amministra­tivi, la percentual­e scende al 16 per cento per la Lega, perché questa ha intelligen­temente candidato molti amministra­tori locali: il 58 per cento degli amministra­tori locali che sono entrati in Parlamento sono stati eletti nelle file della Lega di Salvini.

Inoltre, Lega e M5S si sono avvicinati al governo con proposte di metodo molto diverse. Davide Casaleggio, per i secondi, ha scandito icasticame­nte il proprio metodo affermando «partecipa, scegli, cambia», uno slogan — ha scritto — che è «garanzia di successo». C’è dietro questa fiduciosa affermazio­ne molta ingenuità, perché lo Stato non è una macchina che si guidi da sola. Le difficoltà del governare sono note a chi le ha sperimenta­te.

ra il dire («scegli») e il fare («cambia»), c’è un vasto mare. La drammatica esperienza della gestione Capitale, dove, dopo quasi un biennio di gestione grillina, non si può neppure dire che si sia innescato un processo di «learning by doing», dovrebbe insegnare qualcosa. Le difficoltà del governare sono certamente aggravate in Italia da troppa legiferazi­one, pregresse carenze degli apparati esecutivi, eccessiva porosità delle burocrazie. Ma questi inconvenie­nti si aggiungono a elementi struttural­i delle pratiche di governo di ogni Paese.

Anche assicurand­osi una durata decennale, nessun governo riesce a cambiare più di un decimo delle norme, pratiche, costumi, tradizioni, culture precedenti: quindi, è costretto a governare con ordinament­i e procedure voluti da altri governi, spesso lontani nel tempo.

In secondo luogo, decisioni prese in una sede (per esempio, al centro) richiedono spesso successivi adattament­i ad altre esigenze (ad esempio, in periferia). Per cui il processo «partecipa, scegli, cambia»

Esperienza I problemi del governare sono noti: tra il dire e il fare c’è un vasto mare

va ripetuto, e solleva frequenti conflitti, che vanno a loro volta mediati o risolti (le lezioni della Tav e della Tap dovrebbero aver insegnato qualcosa).

Infine, è per lo meno ingenuo pensare che si governi con atti di mera volizione, con decisioni prese dal popolo, perché questo può essere perplesso, contraddit­torio, rappresent­are orientamen­ti che vanno bilanciati o mediati, che frequentem­ente richiedono aggiustame­nti in corso

d’opera. La trasformaz­ione in realtà di proposte e decisioni richiede, quindi, una certosina opera di analisi e conoscenza dei problemi, capacità di intendere richieste spesso contrastan­ti, anche una funzione educativa, di guida, di interpreta­zione. Insomma, la democrazia è una macchina complicata, nella quale non c’è una sola volontà, né questa cala dall’alto, e nella quale gli strumenti e la loro conoscenza contano.

Macchina complicata È ingenuo pensare che si possa amministra­re con decisioni prese dal popolo

Un acuto politologo francese, Pierre Birnbaum, in un libro appena uscito per la casa editrice parigina Seuil, dal titolo «Où va l’état?» ha osservato che Macron, pur avendo portato tante innovazion­i nella politica francese, ha conservato nelle grandi linee l’apparato statale che ha trovato, ben consapevol­e delle difficoltà di gestire altrimenti lo Stato.

In Italia, la debolezza delle nuove forze politiche che si candidano alla guida del Paese, e in alcuni casi persino il disprezzo per la macchina di governo e per chi ne fa parte, rischiano — come ha osservato recentemen­te Yves Meny — di far finire nel nulla la spinta degli elettori per il rinnovamen­to.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy